ROMAFF11: “MOONLIGHT”, COME TROVARE SE STESSI

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Dal Telluride Film Festival a Roma, passando per Toronto, New York e Londra. Non sembra destinato a fermarsi il clamore e l’entusiasmo che accompagnano Moonlight, seconda regia di Barry Jenkins dopo l’inedito Medicine for Melancholy del 2008. Un viaggio che parte da Liberty City, quartiere periferico e malfamato di Miami, e che sta conquistando tutti i festival cinematografici più prestigiosi. Ispirato all’opera di Tarell Alvin McCraney, In Moonlight Black Boys Look Blue, il film di Jenkins è un viaggio di formazione suddiviso in tre atti che corrispondono ad altrettante età del suo protagonista, Chiron. Bambino, adolescente e uomo alla ricerca di se stesso e di un posto nel mondo nel quale sentirsi accettato, amato. Una madre infermiera e dipendente dal crack, un amico spacciatore a fargli da figura paterna e un omosessualità mai realmente vissuta rappresentano la cornice che accompagna la sua vita, tra droga, vessazioni e sopravvivenza.

Jenkins, che presto dirigerà il biopic dedicato alla campionessa di pugilato Claressa ‘T-Rex’ Shields, realizza una pellicola potente, intrisa di “realismo magico”, dove i colori accesi della fotografia di James Latox, la colonna sonora (hip hop, classica, mariachi) e la macchina da presa concentrata sui volti dei suoi protagonisti amplificano violenza, sesso, rifiuto e amore. Un cast di attori eccellenti, da Trevante Rhodes nel ruolo di Chiron a Mahershale Ali (House of Cards), passando per André Holland (Selma) e Janelle Monáe, rendono la sceneggiatura firmata da Jenkis ancor più vibrante. Menzione speciale per l’ultimo capitolo, nel quale il ‘duetto’ Rhodes/Holland regala la parentesi più intensa e ci ricorda che il nostro posto nel mondo, grazie ad una vecchia canzone di un jukebox, può essere racchiuso in una carezza.