ROMAFF11: A LEZIONE DA OLIVER STONE

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Voce bassa, sguardo corposo, parole dirette. Anzi, direttissime. Possiamo dire che Oliver Stone non è mai stato uno che le manda a dire. E i suoi film, a cominciare da Platoon, da Wall Street oppure citando Assassini Nati, W. o, l’imminente Snowden – in Italia il 1 dicembre – , ne sono il perfetto esempio. Un cinema quello di Stone che sa abbracciare, senza mollare mai, la realtà nuda e cruda dei fatti, facendola diventare un mezzo diretto per provare a far aprire gli occhi. Poco importa se la realtà, in molti casi, è spinosa, pericolosa, scottante. Stone, del resto, è forse il regista contemporaneo che sa destreggiarsi al meglio in un groviglio in cui è facile restare intrappolati. Eppure, a 70 anni appena compiuti, la voglia di continuare a ”parlare” di certo non gli manca, come dimostra il suo incontro con il pubblico alla Festa del Cinema di Roma. Perché, scena simbolo per scena simbolo, sfociando poi nei suo film del cuore, Stone è stato capace di intersecare politica e potentissimo cinema. La prima scena mostrata è quella tratta da Salvador: «Un film fatto con pochi soldi, rifiutato prima e poi prodotto indipendentemente. Ho sempre lavorato da solo», dice il regista. Poi, sullo schermo compare Gordon Gekko: «Gekko è uno di quei personaggi che nell’alta finanza compravano le aziende, le trasformavano e poi le rivendeva. Il capitalismo distrugge le società. L’avidità si scatena e il prezzo da pagare è enorme, tant’è che la classe media è stata distrutta».

Memorabile, poi, il discorso contro la commissione Warren di Kevin Costner in JFK: «La sceneggiatura era frammentata, racconta Stone, ma è sempre stato ideato così il film. Il punto però è che la storia ha tanti punti di vista, non sapremmo mai come sono andate le cose. Pensiamo alla pallottola magica, impossibile possa essere andata in questo modo la vicenda. All’epoca ho difeso il film dai media, che in America sono allineati con l’opinione dominante. L’idea che Kennedy fosse stato ucciso da un solo uomo è una cavolata, sono anni che ci imbrogliano». Da un presidente all’altro, dunque, dato che arriva il momento di Gli Intrighi del Potere – Nixon. Sul film, Oliver Stone elargisce una lucida idea su cosa pensi lui del discusso presidente: «Empatia verso di lui? Per me empatia significa mettersi nei panni di quel personaggio. È stato un uomo intelligente che ha sofferto nella vita. Ovviamente non lo ho apprezzato come presidente, ma la sua sofferenza è stata reale. Quando ha dato le dimissioni è stato il momento più forte, vero. Era profondamente insicuro, convinto facesse la fine di Kennedy. Sia con lui che con Kennedy o Bush oppure Snowden ho sempre raccontato la storia in modo imparziale».

Altra scena cult arriva da Nato il 4 Luglio, quando un giovane Tom Cruise vestiva i panni dell’attivista Ron Kovic. E qui, Stone, non trattiene una certa commozione. «Su il 4 luglio mi emoziono sempre, nei miei incubi io sono su quella sedia a rotelle, mentre protesto e le cose non cambiano. Sono passati anni e siamo ancora qui, nessuno dice nulla. Tom Cruise, in quella pellicola, fu enorme, un professionista, disciplinato e interessante». Dopo il ritorno in patria dal Vietnam – argomento chiave in quasi tutta la filmografia di Stone – si fa un passo indietro, con la celebre sequenza di Platoon, in cui braccia al cielo spira il sergente Elias K.Grodin, interpretato da Willem Dafoe: «Quella scena è stata la meno realistica del film ma pure la più famosa. La musica è stata fondamentale. Nonostante il grosso lavoro del compositore Georges Delerue abbiamo mantenuto l’Adagio per Archi di Samuel Barber, inserita nel montaggio di prova».

Il finale dell’incontro è dedicato a un suo classico e ad altre due scene da lui selezionate. Si comincia con la pelle d’oca sul discorso nello spogliatoio di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica: «Questo discorso nasce quando Al Pacino e la squadra si stavano sgretolando, nello spogliatoio tra il primo e il secondo tempo lui tira fuori queste parole e le cose si aggiustano. Cosa tipica del cinema americano e, insomma, sarebbe bello andasse sempre così. Il senso di quelle parole, avvicinabili anche al Vietnam, è che tutto sta nell’osservare, bisogna prendere la vita come merita di essere presa».

Stone, attivista con la macchina da presa in mano, porta due scene, una tratta da Sette Giorni a Maggio, con Burt Lancaster e Kirk Douglas, che argomenta così: «Il film di Frankenheimer mostra il cosa voglia dire potere militare e potere esecutivo. È un film del 62, nell’anno in cui Kennedy, per la questione di Cuba, si oppose al Pentagono. Chissà se oggi possa riaccadere una cosa così…». Ultima sequenza, anch’essa scelta da Oliver Stone, è un omaggio al cinema italiano e alle sue storie: «Novecento di Bertolucci? un film grande, un regista incredibile che parla di due ideali diversi. C’è tutto. Epico».