WITNESS – IL TESTIMONE

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Il thriller romantico che ha segnato un’epoca e l’immaginario di generazioni di cinefili, Witness – Il testimone di Peter Weir, è tra i film di genere più omaggiati, rifatti e parodiati dalla cultura pop degli anni Ottanta, Novanta e inizio Duemila. Viene citato in una puntata de I Simpson (in Itchy & Scratchy Land), dalla serie Buffy – L’ammazzavampiri e perfino da I Tenenbaum di Wes Anderson (la battuta ricorrente «I know you, asshole!» ripresa e gridata anche a Danny Glover, poliziotto corrotto proprio nel film di Weir).

Se è diventato in breve tempo un cult lo deve a un inedito Harrison Ford, reduce dal doppio successo di Guerre Stellari e del doppio Indiana Jones, a una regia capace di oscillare tra il tema mistico caro all’autore, gli omaggi a John Ford e il thriller intessuto di western. E ancora: Kelly McGillis bella come non mai (e un anno prima di Top Gun), il piccolo Lukas Haas, al contempo puro e scaltro, la presenza di Viggo Mortensen (che interpreta l’Amish Moses) alla sua prima apparizione sul grande schermo. Il soggetto principale era stato scritto in precedenza dagli sceneggiatori William Kelley ed Earl W. Wallace per una puntata della serie western tv Gunsmoke, poi era rimasto in incubazione. Viene dunque adattato alla contemporaneità e racconta un brutale omicidio compiuto da due poliziotti corrotti ai danni di un collega nel bagno pubblico della stazione ferroviaria di Philadelphia. All’assassinio assiste Samuel (Haas), un bambino Amish nascosto e spaventato dietro una porta. Il detective John Book (Ford) proteggerà il piccolo nella sua comunità Amish. Qui il poliziotto si innamorerà di Rachel, vedova e madre di Samuel (in ebraico significa: «Il suo nome è Dio»), fino all’arrivo dei cattivi.

Book sembra un libro aperto per Rachel, sicura nell’affidare il proprio figlio allo sconosciuto esterno alla comunità, incapace di pregare e di muoversi senza la propria arma da fuoco, i proiettili nascosti nel barattolo della farina. La magnifica colonna sonora del musicista francese Maurice Jarre unisce strumenti tradizionali e tastiere elettroniche, sulla spinta della sperimentazione e della ricerca sonora del figlio Jean Michel. Per inciso, in una recente intervista il grande compositore contemporaneo parigino Alexandre Desplat ci ha rivelato che la partitura di Jarre per questo film ha segnato in maniera indelebile il suo modo di concepire la musica applicata alle immagini. Con questo film lo straniero Weir si trova al crocevia di molti registi di Hollywood (Spielberg, ad esempio), quel crossroad di tradizione e innovazione, ripetizione di schemi e invenzione di forme. Weir ha raccontato al San Francisco Chronicle del 3 febbraio 1985: «A essere sinceri, ho deciso di girare Witness perché mi sembrava una buona idea non continuare solamente a girare i film che mi ossessionavano. Witness mi pareva mio per metà, gli serviva il giusto approccio. Ecco perché ho lavorato a fondo sull’aspetto della comunità religiosa Amish in questa storia. Era un’ottima occasione per mostrare la collisione tra due mondi: un uomo del Ventesimo secolo, per il quale la violenza era una questione di vita quotidiana, costretto a rifugiarsi in una società pacifista, immutata dal Diciottesimo secolo».

E come in gran parte della filmografia del regista – da Picnic ad Hanging Rock fino a The Way Back – al centro della scena irrompe proprio il contrasto tra civiltà e natura, il rapporto conflittuale tra individuo e comunità. Il risultato è un’opera capace dunque di mettere a fuoco, tra realismo e piano onirico, i temi cari all’autore ma, allo stesso tempo, è un buon prodotto di intrattenimento, in cui lo spettatore attende, in crescendo, lo scontro finale in forma di duello western. Witness ottenne otto nomination all’Oscar (la prima e unica per Ford come attore in quasi cinquant’anni di carriera), vinse solo due statuette (migliore sceneggiatura originale e migliore montaggio) e in patria incassò quasi 70 milioni di dollari a fronte di un budget di 12 milioni. Le immagini mostrano in maniera manichea una comunità senza tempo, come racchiusa in un quadro di Edward Hopper, il mare di grano mosso dal vento, in netto contrasto con la realtà civilizzata, violenta e brutale. L’australiano Weir, oltre alle atmosfere thriller tese e impeccabili e alla relazione sentimentale tra il poliziotto e la vedova, pare citare efficacemente e senza stucchevoli didascalismi l’insegnamento di Abramo e della tradizione biblica: «Sono straniero e abito con voi».