Come non augurarsi che Kevin Costner riesca nell’impresa di portare a termine il Magnum opus che sogna dal 1988 e al quale lavora dal 2003 (“dopo aver girato Open Range“)? Una epopea western unica, che dovrebbe continuare con altri due capitoli e che alla 81. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia ha presentato in anteprima il secondo film Horizon: An American Saga – Chapter 2, inizialmente atteso al cinema il 15 agosto e poi rimandato. Ma la corsa al West e le avventure dei primi coloni continua e prossimamente vedremo anche in sala come proseguono le vicende dei personaggi intepretati da Sienna Miller, Sam Worthington, Giovanni Ribisi, Luke Wilson & Co.
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IL FATTO:
Nascita, morte e rinascita di una colonia fluviale nel Territorio del Nuovo Messico del diciannovesimo secolo. Il sogno di dar vita alla cittadina di Horizon continua, e continua ad attrarre coloni e viaggiatori. Con loro – oltre a soldati, magnati delle ferrovie, nativi americani e immigrati cinesi – la storia iniziata nel primo capitolo continua …e i futuri Stati Uniti vanno costruendo le proprie fondamenta, non senza peccato.
L’OPNIONE:
Sostanzialmente e prevedibilmente un capitolo di passaggio, il secondo Horizon non è solo un film interlocutorio all’interno della mastodontica epopea western della American Saga ideata da Kevin Costner. Che in maniera intelligente, e svincolato dagli obblighi ‘introduttivi’ che in qualche maniera avevano appesantito il Chapter 1, riesce a rendere più organicamente il percorso di avvicinamento al vero – e dichiarato – fulcro dell’opera e il senso della nascita di una nazione, che sottende l’intera operazione.
Ma l’omaggio al genere e alle proprie radici si sviluppa sempre più oltre il testamento – in vita – al cinema che ha sempre amato, e nel cercare di mostrare il buono nascosto tra le crudeltà e le ombre dei supposti “buoni”, Costner conferma di non avere scrupoli nel disegnare un Paese che più che “Land of the Free” si conferma terra di possibilità. Eppure c’è un giudizio nell’assenza di giudizio, e una lezione di rispetto nel riconoscere la sofferenza che tutti attraversano, in attesa di un tempo nel quale i concetti di bene e male possano avere un senso, e nel quale si possa sperare in decoro e amore.
Al centro, molto più che nel precedente, le donne, spesso protagoniste, anche quando vittime, ma sempre determinanti nell’ispirare o avviare l’azione. In attesa che il burbero Hayes di Costner arrivi alla meta e alcune trame si allaccino, come già si inizia a intuire. Tutto ruota, sempre di più e in maniera ancora più esplicita, intorno alla città, in sviluppo, vero fulcro delle tante linee narrative che si avvicinano al centro in maniera diseguale.
Ma è una asincronia funzionale, che a differenza delle più nette divisioni del precedente, permette a nuovi personaggi (come la Diamond Kittredge di Isabelle Fuhrman, nella carovana affidata al Matt Van Weyden di Luke Wilson, la peggior guida che si possa immaginare) di emergere, mentre altri passano in secondo piano.
Una sana alternanza, insomma, nella quale trovano spazio la comunità cinese – annunciato motore della piccola economia locale, in attesa del ‘progresso’ promesso dal Pickering di Giovanni Ribisi e dalle immagini dell’arrivo della ferrovia – e gli indiani, già vittima di spoliazione e pregiudizio, che nel terzo capitolo sembrano destinati a prendere il sopravvento, almeno narrativamente.
Personaggi più sfaccettati, rispetto a quelli troppo granitici – per quanto coerenti con lo spirito del Paese e l’epoca – visti finora, quasi più degli archetipi, germi di quell’America fatta di confini e rigidità che, nell’anticipazione del terzo capitolo con cui si chiude il film, vediamo espandersi sempre più, e sempre più violentemente.
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Sicuramente il primo capitolo di Horizon: An American Saga, ma anche qualche altro western del regista di Balla coi lupi, come il Silverado del 1985 e soprattutto Terra di confine – Open Range.