Japan Day a Roma, una finestra sulla cinematografia nipponica

All’Asian Film Festival 19 l’essenza del Sol Levante distillata in cinque film da non perdere

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Moonlight shadows Japan Day
Moonlight shadows

Il Giappone sa incantare, sedurre lo spettatore. Lo dimostra la partecipazione al Japan Day dell’Asian Film Festival 19 (a Roma fino al 13 aprile): lunghissima è la fila di chi sente il richiamo del ‘mono no aware’, peculiare pathos legato alla bellezza e alla caducità delle cose. Ma cosa ci racconta il Sol Levante sullo schermo del Farnese ArtHouse?

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A legare le proiezioni della serata è un particolarissimo ‘akai ito’, un filo rosso tessuto soprattutto tra Somebody’s Flower di Yusuke Okuda, Tsuyukusa di Hideyuki Hirayama e Moonlight Shadow di Edmund Yeo – tratto dall’omonimo romanzo di Banana Yoshimoto.

Japan Day
Somebody’s Flowers

La triade affronta la delicatissima tematica dell’elaborazione del lutto e la declina attraverso prospettive differenti. Se l’esordio di Somebody’s Flowers ci immerge in un mondo sbiadito, con un protagonista (Takaaki) incastrato nell’impasse del proprio dolore finché non si trova a essere “quasi un carnefice”, con Tsuyukusa si cambia registro. Anteprima mondiale e commedia malinconica, il film sa illustrare con toccante delicatezza un universo di infinite perdite e solitudini. Infine arriva Satsuki, protagonista di Moonlight Shadow, bloccata e in attesa di un evento che le permetta di abbracciare il proprio dolore e proseguire con la propria vita.

Asian Film Festival
Tsuyukusa

Le tre opere, seppur differenti, sembrano suggerire una soluzione univoca: per potersi liberare è in qualche modo necessario “confrontarsi” con i propri spettri.

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A seguire, poi, è l’attesissimo Hokusai di Hajime Hashimoto, presentato dal Direttore dell’Istituto Giapponese di Cultura in Roma, Masuo Nishibayashi. Finalmente “pronto a ricominciare”, lo spettatore può abbandonarsi all’opera come una tela bianca, lasciarsi investire dall’onda del celebre pittore e assorbire lo stile classico e ricercato di Hajime Hashimoto.

Eppure Hokusai non è che una nostalgica sospensione del leitmotiv della serata: a chiudere la stessa è infatti In the Wake, di Zeze Takahisa. Per l’ultima volta ci si trova di fronte a una duplice perdita, con un protagonista combattuto tra la vendetta e la voglia di ricominciare.

Hokusai

È una serata, quella del Japan Day, in cui il tempo sembra sospeso. Lo spettatore se ne va arricchito, poiché nella declinazione della reazione alla tragedia il cinema nipponico ha saputo dimostrarsi maestro.

Il perché ce lo svela Jun’ichiro Tanizaki in Geidan (Sulla Maestria): «Amiamo l’arte quando ci consente di lasciarci andare. Le commedie saranno anche gradevoli, ma non possono toccarci nel profondo. Non sanno avvolgere gli spettatori nel calore di un abbraccio. Si direbbe che, da questo punto di vista, esse manchino di emozione. Le tragedie sono cariche di dolore ma coinvolgenti. Tra colui che guarda e ciò che è guardato pulsa un sentimento unico, empatico, che crea comunicazione… e allo spettatore basta per sentire il calore umano».

 

Anna Grazia Cervone