Ospite d’onore della 34esima edizione del Noir in Festival la prolifica scrittrice americana Joyce Carol Oates è stata premiata dai direttori Marina Fabbri e Giorgio Gosetti con il Raymond Chandler Award, con la seguente motivazione: “Sublime ingannatrice del tempo, sia nell’aspetto di eterna ragazza sia nella sua scrittura potente e cristallina che non scende a nessun compromesso, come solo le voci più ribelli sanno imporsi di risuonare, Joyce Carol Oates è per noi l’artista della letteratura oggi più efficace nel raccontare il nodo oscuro, spesso sanguinario e inconfessabile, che lega i membri di una comunità. Una voce letteraria inconfondibile dall’imprescindibile valore morale di monito a tutti noi: raccontare la realtà con le armi seduttive della finzione, è salvare la nostra memoria e noi stessi dall’estinzione”.
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La scrittrice, la cui produzione stimata è di 40 romanzi, più di 60 racconti, 9 collezioni di poesie, e varie produzioni per bambini, trattando i più svariati argomenti, ha pubblicato da poco il suo ultimo romanzo, “Macellaio“ edito da La nave di Teseo: ambientato nel 1800, racconta le disumane pratiche del dottor Silas Aloysius Weir, considerato il “padre della Gino-Psichiatria”, ai danni di donne indifese e inconsapevoli. “Sono sempre stata interessata alla storia della medicina”, ha spiegato Oates durante un incontro pubblico allo Iulm di Milano, “e soprattutto a queste pratiche mediche non etiche. Mio marito era uno scienziato e uno storico della medicina, e ha studiato a lungo le pratiche del passato nei confronti delle donne, frutto di un atteggiamento di discriminazione, bigotto, e alcune cose sono ancora attuali nel XXI secolo”. E ha continuato precisando: “Le persone non possono essere viste in bianco e nero, sarebbe riduttivo, gli esseri umani sono complessi: il medico protagonista de il Macellaio è un mostro, ma sta anche facendo compiere dei passi avanti alla scienza. Anche scrivere un romanzo è una specie di esperimento, all’inizio ci sono un gruppo di personaggi, poi la storia prende gradualmente forma, imita la struttura di un esperimento”.
Una storia da incubo quello del Macellaio che racconta delle sevizie, degli esperimenti disumani perpetrati ai danni di donne innocenti, ancora una volta vittime del potere maschile: “Viene da riflettere su quale sia l’origine della misoginia, ci sono tante ragioni, può essere, per esempio, di origine religiosa. Per anni negli Stati Uniti le donne erano considerate una seconda categoria, fino agli anni ‘20 non avevano diritto di voto, non potevano comprare casa, accendere un mutuo. Può essere un’origine biologica, se ci pensate quando nasce un maschio ha assolutamente bisogno della madre, poi crescendo prende le distanze. È culturale forse? C’è una qualità femminile, e nel romanzo è centrale, quella di essere testimoni marginali del potere, e di riconoscerne l’assurdità e l’ipocrisia. Ci vuole senso del ridicolo per riconoscere questi aspetti, come succede oggi negli Stati Uniti, nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stato eletto di nuovo un condannato”, ha dichiarato Oates amaramente.
Una forma quella dei suoi romanzi che fa pensare a quella del cinema, non a caso alcune delle sue opere sono diventate dei film, come il controverso Blonde scritto e diretto da Andrew Dominik sulla vita tragica di Marilyn Monroe: “Il regista, lo sceneggiatore hanno la loro creatività, e quando il mio lavoro viene adattato per il cinema io sono solo uno spettatore come gli altri, non sento un senso di proprietà verso quello che ho scritto. La scrittura e il film sono due cose separate. Per quanto riguarda Blonde, un romanzo di 800 pagine, Andrew Dominik nel fare il film che dura un paio d’ore ha ovviamente dovuto fare delle scelte, scegliere di ridurre il numero dei personaggi, il cast era relativamente piccolo, ci sono un numero minore di scene rispetto a quelle del libro, perché un libro può essere di mille pagine e avere un sacco di personaggi in più. Ovviamente non ritengo di dover imporre la mia visione personale sul lavoro degli altri. Dominik pensava di aver fatto un film femminista, invece non è stato percepito in questo modo, la critica è stata negativa. La vita reale di Marilyn Monroe è stata una vera tragedia, una donna sfruttata in tutti i modi, ha sempre sentito di essere stata usata dagli altri, questo l’ha portata al suicidio, però per quanto riguarda il film di Dominik il punto non è che sia stato girato da un uomo, un uomo piò assolutamente girare un film sulla vita di una donna, ma bisogna vedere qual è il risultato”.