Dieci anni sono occorsi a Vittorio Moroni per portare a compimento il suo nuovo lungometraggio L’invenzione della neve, prodotto da 50N (col sostegno di Apulia Film Commission e Sicilia Film Commission) e dal 14 settembre nelle sale italiane per I Wonder Pictures dopo l’anteprima alle Notti Veneziane delle 20me Giornate degli Autori.
L’idea di un tempo di realizzazione così lungo «mi spaventa», racconta a Ciak il regista di Tu devi essere il lupo e Se chiudo gli occhi non sono più qui (nonché sceneggiatore di Terraferma e L’immensità), «ma al tempo stesso mi fa sentire bene, se penso a quanti no, a quanti ostacoli ci sono stati, probabilmente anche perché non sono riuscito a spiegarmi con le persone che avrebbero dovuto finanziarlo. Quindi ho pensato che non si sarebbe potuto fare, ma ormai avevo coinvolto delle persone che si erano così tanto entusiasmate da sostenermi nei momenti in cui stavo per cedere». Tra questi, Moroni menziona i co-sceneggiatori Igor Brunello e Luca De Bei, ma anche la acting coach Rosa Morelli.
E gli interpreti sono fondamentali (più del solito) in questo film composto da sole sei macro-sequenze che delineano la vicenda di Carmen, una donna separata dalla madre in tenera età e che rischia di vedere il trauma ripetersi, quando il giudice affida la figlia piccola Giada all’ex compagno Massimo. Per selezionare le attrici e gli attori di questa storia, specifica Moroni, ogni provino è durato non meno di due ore. L’invenzione della neve «nasce infatti da un presupposto, che ha una lunga tradizione cinematografica, da Cassavetes a Lars von Trier: mescolare intimamente, pericolosamente il DNA dell’attore con quello del personaggio».
A cominciare dalla protagonista. Ispirata, confessa il cineasta, a «una persona che ho conosciuto e mi ha messo in enorme difficoltà, perché ha fatto delle scelte che trovavo moralmente discutibili, che io non approvavo, ma più la conoscevo più sentivo empatia verso di lei. Questo film è il tentativo di mettere lo spettatore nella stessa condizione in cui mi sono trovato io, ovvero di non poter aderire moralmente alle scelte di Carmen e al tempo stesso non poter cessare di amarla». Per il difficile ruolo, la scelta è ricaduta su Elena Gigliotti, già attiva in teatro e qui al suo debutto nel cinema.
«Il processo di lavorazione», spiega l’attrice, «è stato veramente intenso, intanto perché non ho ricevuto subito tutta la sceneggiatura, è arrivata a puntate, e su ogni puntata potevo elaborare, studiare, soprattutto scrivere un diario, in cui inserivo immagini, musica, pensieri. Ogni giorno inviavo a Vittorio degli audio in cui raccontavo qualsiasi cosa. Tutto poi è entrato nel lavoro. E la cosa che mi interessa e mi colpisce di questo progetto è la parola verità. La verità è una parola astratta, e io che ho una formazione teatrale spesso entro in conflitto con questa parola. In questo caso ho dovuto fare i conti con quella verità, uscire da me stessa».
Aprendosi alla contraddittoria umanità di Carmen. Che, prosegue Gigliotti, «fatica a stare chiusa in un’etichetta. È madre ma soprattutto figlia, che rivendica il suo diritto di essere figlia, perché ha vissuto un’esperienza che si sta verificando nuovamente. Un’immagine che ritorna sempre ed è servita nella lavorazione è quella di un animale in gabbia, che quando esce è perso ma allo stesso tempo si difende, aggredisce perché si sente aggredito o aggredisce e basta, non la voglio giustificare. Però si gioca ogni attimo, e in questa contraddizione perenne ha il coraggio di rischiare tutto. L’animale che mi ha ispirato è stata una tigre, che ho voluto tatuare realmente sulla mia schiena: perché vedo un film non come qualcosa di passeggero, volevo “impressionare” Carmen nella mia vita».
La verità del film e del personaggio, allora, passa anche attraverso il corpo. E in questo «c’è il sovvertimento di un paradigma: è la storia di un corpo femminile differente, per me questa è una grande fortuna. Oggi sono qui ma sento che a fianco a me ci sono tutte quelle attrici che non si riconoscono in un canone, in uno schema». Gigliotti, peraltro, ci tiene a ricordare che L’invenzione della neve, con un cast che include anche Alessandro Averone, Anna Bellato, Anna Ferruzzo, Eleonora De Luca, Marta Caracciolo e Carola Stagnaro, resta «un film corale, un incontro continuo con ogni attore, ogni attrice. Ho avuto tanto da imparare da loro».