MANGLEHORN, DI DAVID GORDON GREEN

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Usa, 2014 Regia David Gordon Green Sceneggiatura Paul Logan Interpreti Al Pacino, Holly Hunter, Harmony Korine, Chris Messina Produzione Lisa Muskat, David Gordon Green, Derrick Tseng, Molly Conners, Christopher Woodrow, Dreambridge Film, Lisa Muskat, Rough House Pictures Durata 1h e 37’ 

 

Le parole di un amore profondo quanto ossessivo scorrono sulla carta da lettere, missive spedite e mai arrivate, sentimenti espressi che non giungono a destinazione, ma tornano sempre al mittente. Manglehorn di David Gordon Green, presentato in concorso, con Al Pacino come protagonista, è un’ottima metafora di ripianto e solitudine. Rimorsi per scelte sbagliate, per un passato che non può tornare, per una gioventù ormai sfiorita convivono nel protagonista, Angelo Manglehorn, un fabbricante di chiavi ordinato e meticoloso, che non riesce a far entrare nessuno dentro di lui e vive un’esistenza arida d’emozioni in compagnia del suo gatto, unica gioia che gli fa brillare gli occhi. Manglehorn possiede anche la capacità innata di suscitare un fascino magnetico nelle persone; la nipote Kylie (Skylar Gasper) sogna parlando con lui di un “palloncino che appartiene al cielo”, Gary (Chris Messina), un ragazzo che allenava da bambino, lo ammira incondizionatamente, Dawn (Holly Hunter), impiegata della sua banca, è segretamente innamorata di lui, e persino il figlio Jacob (Harmony Korine), al quale ha negato nell’infanzia l’affetto paterno, lo stima profondamente. L’ossessione del protagonista per Clara, una donna conosciuta molti anni prima, lo incatena a un momento di felicità dal quale non sa fuggire, o meglio dal quale non si vuole staccare. Manglehorn ha un dolore che lo corrode, ha scatti di rabbia improvvisi che cerca di mitigare e tenere a bada. Green narra la vicenda di un uomo che per lungo tempo ha concesso tutto il suo amore a una sola persona, lasciando fuori il mondo e gli affetti intorno a lui, senza mai aprire quella porta che lo avrebbe reso sereno e felice. Lui Clara l’ha lasciata andare, l’ha persa a causa della sua indecisione, imboccando una via senza ritorno e indurendo l’animo per non soffrire più. Al Pacino, con la sua interpretazione, toglie il fiato. Riesce, con un’innata dote espressiva, a emozionare e incarna perfettamente quello che è lo spirito del protagonista; gesti affaticati e un volto triste sottolineano il macigno che Manglehorn si porta dietro, intuito attraverso le parole pronunciate con voce calda e stanca. Il regista crea una pellicola elegante, lineare, inserendo momenti leggeri che stemperano la pesantezza del cuore causata dalla solitudine di Manglehorn. Il percorso del protagonista è una rinascita interiore; l’elemento che segna la rottura con il passato è la comparsa di un mimo, il primo personaggio incontrato dopo il cambiamento che, senza bisogno di parole, solo con i gesti intrisi di tutta l’arte di questa nobile e ormai inusuale professione possiede, alleggerisce la sua (e la nostra) anima. Green è tornato a Venezia con un film introspettivo, un flusso di coscienza del protagonista, un dialogo con sé stesso per uscire dal torpore emozionale in cui era caduto. Manglehorn è una persona comune che il regista americano sceglie proprio perché vive una vita ordinaria, con i suoi alti e bassi, i suoi problemi e i suoi rimpianti e con cui inevitabilmente deve convivere. Il regista americano ci dice che sta noi scegliere se rimanere ancorati al passato, appesantiti da zavorre che non riusciamo a lasciare andare, o tentare di cancellare le pagine dei rimorsi per riscriverne di nuove, migliori, più felici.

Rudy Ciligot