«Non ho doppiato Tom Hanks, ho doppiato Forrest Gump»: lo ricorda Francesco Pannofino dal palco di Piazza del Popolo alla 60ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival, dove il 19 giugno la serata è stata per il trentennale del Forrest Gump di Robert Zemeckis, festeggiato in compagnia dell’amatissimo attore e doppiatore romano che, nella versione italiana del film vincitore di 6 Oscar, presta la voce al protagonista. Ed è «molto diverso accoppiare la voce a un volto e accoppiare la voce a un personaggio».
Pannofino, nel caso di Forrest, ci è riuscito perfettamente, e l’impresa, che rievoca dialogando col direttore di Pesaro 60 Pedro Armocida, non era facile: «Bisognava trovare una caratterizzazione ad hoc, perché Tom Hanks in questo film utilizzava molto l’accento dell’Alabama. Quindi dovevamo tentare di restituire le emozioni, e anche la verità di un personaggio che si esprimeva in quel modo. Tom Hanks, da grande attore qual è, ha preso a esempio il ragazzo che interpretava Forrest Gump da adolescente e ne ha preso non solo l’accento, ma l’anima. Per noi in italiano era un’impresa ancora più difficile, perché non ti potevi appoggiare a un accento regionale, non sarebbe stato giusto. Io mi sono ispirato a persone che conoscevo, che avevano questo tipo di difficoltà a parlare».
La performance richiese al futuro René Ferretti di Boris un mese di lavoro, supervisionato dal direttore del doppiaggio Manlio De Angelis (scomparso nel 2017: «Un grande», lo definisce con affetto e gratitudine Pannofino) e dalla delegata di produzione di Zemeckis: «Prima abbiamo fatto la voce narrante, fuori campo, e poi quella delle scene “in presa diretta”. È stata una fatica, mi ricordo ancora l’impegno che ci ho messo».
E l’esito fu un «doppiaggio innovativo» di cui è tuttora grato e «orgoglioso», e un successo anche personale per l’attore, constatato andando a vedere il film in sala: «Quando c’era da ridere gli spettatori ridevano, quando c’era da commuoversi si commuovevano, quando c’era da riflettere riflettevano, quindi vuol dire che il risultato è stato raggiunto». E pare che anche Zemeckis «sia rimasto contento». Un anno particolarmente fortunato per Pannofino il 1994, dove passa anche il provino per doppiare Fred/John Goodman nei Flinstones, e la doppietta gli consente un «salto di qualità» nella carriera cinematografica.
Carriera che ha reso Pannofino la voce italiana (inconfondibile) di Denzel Washington e George Clooney, ma anche di tanti altri interpreti e ruoli memorabili, da Kurt Russell e Wesley Snipes ad Antonio Banderas, Daniel Day-Lewis, Philip Seymour Hoffman e, di nuovo, Tom Hanks nella camaleontica performance in motion capture di Polar Express. Un’attività che gli ha permesso (anche) di imparare molto sul suo stesso mestiere: «Denzel Washington mi ha insegnato a recitare con gli occhi: se lo guardate nei primi piani, già con gli occhi ti anticipa quello che sta per dire, capisci quello che pensa, recitare con gli occhi è proprio del cinema. Quando poi faccio i film o le fiction cerco di carpire i segreti dei grandi attori che ho doppiato, anche involontariamente, anche “rubando”. Perché, come si dice in Boris “Il mediocre copia, il genio ruba!!”».
A proposito di Boris, la chiacchierata ha toccato anche il nodo di una possibile quinta stagione della serie, cui ha aperto di recente il produttore Lorenzo Mieli («Il nostro imperatore», lo definisce ironico Pannofino), affermando che i lavori al riguardo sono in corso: «Questo ha dato una gioia a tutti noi, perché tutti noi attori vorremmo fare quinta, sesta, settima, ottava, nona e decima serie. Avevamo fatto tre serie e un film, dopodiché purtroppo uno degli autori, Mattia Torre, ci ha lasciato troppo presto, e allora tutti noi avevamo detto “È stato bello ma non si può più fare”. Poi però hanno messo Boris su Netflix durante la pandemia, e ha fatto dei numeri straordinari, allora abbiamo dovuto per forza fare la quarta, perché i numeri contano nel nostro mestiere. La Disney che aveva acquisito i diritti di Fox ha deciso di produrre la quarta serie e l’abbiamo fatta a Cinecittà, ci siamo rivisti dopo un po’ di anni ed è stato come se ci fossimo visti il giorno prima, tutto si è risolto con una grande atmosfera di creatività e di gioia. Speriamo di fare anche la quinta!».
Sulla sovranità del popolo, o meglio del pubblico, per il destino di chi fa il suo lavoro, Pannofino insiste: «È il giudice supremo del nostro mestiere. Il pubblico decreta il successo o l’insuccesso di un attore, di un artista. Quindi io sono molto grato alle persone che mi vogliono bene e mi seguono nel mio mestiere: è un affetto che ti consola, e ti mantiene in vita». Più ancora dell’eventuale solidarietà tra colleghi, giacché, aggiunge, «questo è un lavoro individuale, ognuno fa la sua corsa».
E quando non si ottiene un ruolo «ci rimani male, a me è successo poche volte, è successo anche il contrario, cioè che mi sono appropriato di un attore che non doppiavo io, tipo Tom Hanks, che doppiava benissimo Roberto Chevalier, ma nel caso di Forrest Gump ci voleva una caratterizzazione particolare. Può capitare, fa parte del gioco, è il nostro mestiere. Io ho fatto tremila provini, di cui 2800 non mi hanno preso e 200 mi hanno preso. Poi più vai avanti con gli anni e meno provini si fanno, per fortuna: i registi ti scelgono perché sanno che puoi dare quel qualcosa in più».
In chiusura dell’incontro, Pannofino ha anche svelato un suo legame molto personale con Pesaro, dove vivono alcuni suoi parenti e in cui, confessa a sorpresa, «Ho avuto le mie prime esperienze sessuali: quando avevo 16 anni venni qui a Pesaro come cameriere, perché mio cugino faceva il maître in un ristorante, e io mi volevo comprare il motorino, perciò finita la scuola feci due mesi di lavoro, ma… mi sono divertito veramente tantissimo! Mi dispiace solo di non avere il tempo di andare di nuovo in spiaggia dove, finito di lavorare, andavo a fare il bagno e mi sentivo un re!».
L’attore ha menzionato inoltre un illustre animatore della vita culturale pesarese, «a cui voglio molto bene, un grande artista e grande regista con cui ho avuto l’onore di lavorare, che è Giampiero Solari. È un amico, oltre che un maestro, con cui ho fatto I cavalieri di Aristofane al Teatro Greco di Siracusa alcuni anni fa, e lui qui a Pesaro dirige una scuola di recitazione, che si chiama PAC: invito tutti i giovani che voglio fare questo lavoro, di affidarsi a Giampiero Solari che è un grande maestro».
La presentazione di Forrest Gump ha visto anche la partecipazione di un suo quasi-omologo italiano (almeno per la celebre scena della corsa), Giorgio Calcaterra, tre volte campione mondiale di ultramaratona e vincitore per dodici volte (su quindici) della 100 km del Passatore: «Mi sento un po’ vicino a Forrest Gump», ha detto, «non solo per il fatto che corro ma anche per il suo carattere, un po’ ingenuo, buono». E «l’insegnamento che lui ci dà nel film è proprio che prendendo le cose con semplicità e con coraggio ci si può buttare e magari raggiungere anche qualche risultato in più».