#RIFF 2022, parla la co-protagonista di “Tra le onde” Sveva Alviti

L'attrice e modella racconta a Ciak la sua esperienza nel film di Marco Amenta, presentato il 23 novembre in concorso al Rome Independent Film Festival e dal primo dicembre in sala

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«Ho studiato molto recitazione, era anche un modo per conoscermi, un po’ “terapeutico”». E la carriera artistica di Sveva Alviti, co-protagonista del film Tra le onde di Marco Amenta (presentato in concorso il 23 novembre al Rome Independent Film Festival e dal 1° dicembre in sala per Eurofilm), può ben definirsi in ascesa. Dopo l’esordio da top model a 17 anni, il percorso da attrice, forte degli insegnamenti di Susan Batson e del suo metodo “The Truth” a New York, la porta a visitare ruoli e produzioni diversissime, dalle prime commedie come Niente può fermarci e Buongiorno papà al thriller Lukas passando per il biopic Dalida, per cui ottiene la nomination ai César 2018 come Miglior attrice emergente.

Di recente c’è stato anche il passaggio alla regia, col corto Les jours d’aprèsPoter essere il direttore d’orchestra delle emozioni di qualcuno è estremamente affascinante») e ora Alviti sta scrivendo il suo primo lungometraggio, dove si denuncia l’uso delle benzodiazepine nella nostra società: «Una storia che voglio raccontare, che ho bisogno di raccontare, trattando di una cosa che è stata traumatica per me. Spero di realizzarlo in Francia». Nel frattempo, l’abbiamo incontrata per parlare della sua esperienza in Tra le onde, dove interpreta Lea, facendo coppia con Vincenzo Amato (attore molto caro al cinema di Emanuele Crialese), in un road-movie dai risvolti onirici e quasi metafisici tra Sicilia e Sardegna (dove è in anteprima il 24 novembre) che prende le mosse dal ritrovamento di un migrante annegato in mare.

Il film, scritto dal regista con Roberto Scarpetti, Niccolò Stazzi e Ugo Chiti, è prodotto da Simonetta Amenta (Eurofilm), in associazione con Vincenzo Porcelli (Achab film), Cristina Marques Giuliano Berretta (Oberon Media International), Silvia Armeni (Armeni G.E.S. Multimedia Productions), con il supporto di Film Commission Regione SardegnaFondo coproduzione Regione Sardegna – Filming CagliariRegione Siciliana – Dipartimento del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo, Sicilia Filmcommission nell’ambito del programma Sensi Contemporanei cinema, Regione LazioMIC – Tax credit.

Sveva Alviti al Rome Independent Film Festival per l’anteprima di Tra le onde.

Sveva, come è nato il tuo coinvolgimento in Tra le onde?

Credo che Marco [Amenta, regista del film, NdA] avesse visto Dalida, lui ha una connessione molto forte con la Francia, ha studiato lì e parla perfettamente francese. Mi hanno chiamato per il provino e mi sono innamorata del personaggio di Lea. Dovevo portare un piccolo monologo di circa un minuto e mezzo, poi purtroppo tagliato, dove Lea riviveva la sua esperienza, e avevo trovato delle sensazioni nel corpo e nel modo di raccontare che mi ricordavano qualcosa che avevo vissuto anch’io. Quindi mi sono totalmente calata nel ruolo, e Marco ha sentito questa fragilità, questo dolore.

Nel film dividi la scena con Vincenzo Amato, con sequenze emotivamente molto intense che vi vedono protagonisti. Come ti sei trovata a lavorare con lui?

Lui è un attore che mi piace molto, ridevamo e scherzavamo tutto il tempo: avevamo bisogno di questi momenti di leggerezza, considerata la tematica del film, la sua ambientazione notturna e invernale, il viaggio metaforico dei protagonisti che si confrontano con l’amore e con la perdita. C’è stata una bellissima complicità tra noi, abbiamo trovato un modo di lavorare insieme che definirei genuino, come i nostri personaggi, due persone semplici, di cuore.

A proposito del tuo personaggio, del cui background non ci viene spiegato troppo, che idea ti sei fatta di lei?

Ne avevo parlato inizialmente con Marco, e lui me l’aveva descritta come una donna romana che ha cercato di fare la cantante ma non ci è riuscita, e si è trasferita perciò in Sicilia, dove ha conosciuto Salvo [il personaggio di Vincenzo Amato, ndA], di cui si è innamorata follemente: insieme hanno aperto questo bar, il Sirena Blu, poi tutti i sogni si sono infranti. È una donna sicuramente vivace, verace, come un po’ sono io stessa: anche le mie radici sono romane, sono nata a Roma, mio padre è di Testaccio, mia madre di Monteverde, siamo “romani de’ core”, come si dice. Lea è anche fragile, sola, ma al contempo forte, e per lei l’amore ha un’importanza totalizzante.

Si tratta di un film sospeso tra realtà e immaginazione, presente e passato, concretezza e sogno. Che sfida è stata per te?

Ho lavorato chiaramente sulla realtà, ma ogni scena in cui Lea è presente contiene degli indizi che rimandano a quest’ambiguità, a questa sospensione che dici. La difficoltà è stata creare questi diversi livelli senza fornire troppi elementi a chi guarda.

La storia tocca anche il tema tragicamente attuale dei migranti che muoiono in mare…

Cerco di fare film che abbiano una tematica sociale: questo è un road-trip dark, una storia d’amore, ma al cuore c’è anche il discorso sui migranti. Quando ho letto la sceneggiatura, mi è piaciuta proprio l’idea di voler dare un’identità a queste persone, che purtroppo tante volte rimangono dei numeri. È qualcosa che mi tocca molto e che mi ha reso fiera, come artista, di aver partecipato a questo progetto.