Room 999, Ruben Östlund e il futuro del cinema a Cannes 2023

Il Presidente della Giuria del Festival tra i protagonisti dell'incontro

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Cannes 2023 Ruben Östlund Room 999

Mentre il Festival di Cannes 2023 si avvia alla sua conclusione, e ci si interroga sulle scelte che farà la Giuria del concorso chiamata a proclamare una Palma d’Oro molto sospesa, il suo Presidente Ruben Östlund si concede una pausa per dedicarsi al pubblico in un inusuale incontro sul futuro del cinema legato al Room 999 di Lubna Playoust, una raccolta di testimonianze che si rifà all’analoga operazione di Wim Wenders nel Room 666 del 1982.

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Con lui la stessa regista, la collega Rebecca Zlotowski e l’attrice canadese Monia Chokri – nel progetto insieme a Wenders, James Gray, Claire Denis, Olivier Assayas, Asghar Farhadi, Alice Rohrwacher e altri – si confrontano sull’evoluzione dell’industria, arrivando ad affrontare la questione dei gusti degli spettatori e della possibilità di educarli.

Cannes 2023 Ruben Östlund Room 999

Room 999 e la morte del cinema

 

“In qualche modo è stato il film di Wenders a selezionarmi – dice la Playoust parlando del suo film e di Room 666. – E’ rimasto con me, ed è diventato un punto di partenza per parlare del futuro del cinema”. Sul quale tutte le donne presenti sembrano concordare, dalla Zlotowski (“il cinema non può morire, ma questo doc mi dato ancora più speranza”) alla regista del The Nature of Love in Un Certain Regard, che spiega: “Ho l’impressione che spesso la domanda se il cinema stia morendo venga rivolta ai registi, come se fosse colpa nostra se la gente ami o no quest’arte. Io credo che intorno a noi ci sia un ambiente ricco, e che siano altre le ragioni per cui il pubblico non si sente coinvolto”.

“Spesso sono i soldi il problema, e la soluzione – interviene il Presidente della Giuria del concorso di Cannes 2023. – Il punto è fare la cosa giusta, che può essere anche investire su prodotti meno facili da vendere. Certo, in certi casi siamo di fronte a una sproporzione che rende complicato ogni controllo”. “Walter Benjamin diceva che la narrazione non era un’arte, ma un mestiere – continua Östlund, – e credo che il futuro del cinema non sia necessariamente legato allo storytelling. Io nei miei film cerco una definizione, una specificità, nel mondo di oggi, in parte anche rifiutando questa idea della narrazione come arte. E’ un mestiere, e basta”.

Molto sembra dipendere ancora dalla fruibilità del risultato, dei film, da parte di un pubblico sempre più diverso, come sottolineano le altre invitate, a partire dalla Chokri, che porta a esempio il suo stesso caso: “Vengo dal Quebec, dove l’accesso al cinema è un incubo. Io per prima non ci vado tanto, posso vedere un film solo in sei mesi se sono a Montreal, quando poi ne vedo due o tre a settimana a Parigi. A me le piattaforme consentono più scelta di un videoclub, anche se personalmente non ho pregiudizi riguardo la visione dei film su un cellulare. Forse dipende dal nostro ego di cineasti, che vogliamo si vedano i nostri film su un grande schermo. Parliamo tanto di condivisione ed esperienza, ma non siamo dei sacerdoti!”.

“Sarà forse il mio ego, allora, ma a me non piace l’idea di vedere un film su uno schermo tanto piccolo – risponde la Zlotowski, decisamente all’opposto. – La nostra è una società dall’alto tasso di dipendenze, dal telefono, dai media, e tutte portano all’isolamento. E l’AI può ulteriormente accelerare questi processi. Se parliamo poi di mancanza di attenzione, non so quale sia la soluzione, ma serve una cura. Che non so se sia quella di gettare via i telefoni. Non è una critica verso gli altri, io stessa lo guardo in continuazione, siamo tutti intossicati”.

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“A me non interessa come il pubblico veda quello che faccio, che non è un mio problema, ma la qualità dei film – riprende la parola il regista Palma d’Oro per The Square e Triangle of Sadness. – La maggior parte dei film in circolazione sono più deboli su uno schermo più piccolo. Si perde in qualità del suono, le sfumature del racconto, i film diventano più vulnerabili. Io sono un cinefilo e posso capire se un film merita o no anche su un piccolo schermo, ma è un paradosso”. “Quando monto – dice, aggiungendone un secondo. – non vedo il film fino a che non è finito e viene proiettato, credo sia meglio così, mi concentro in modo diverso, almeno quando faccio un mio film. Ma penso che proiettare un film su un grande schermo sia meglio, per motivi tecnici e per rispettarne la complessità piuttosto che per sedurre il pubblico”.

E’ difficile imporre un gusto, d’altronde – continua Ruben Östlund. –  Come dico nei miei film le piattaforme uccidono il desiderio, che può essere anche quello di voler accedere a contenuti migliori, più seri. Ma le preferenze, i gusti, dipendono dal carattere di ciascuno, definiscono la nostra identità, come anche come passi il tuo tempo libero. Si può migliorarle, migliorarli, e sentirsi più orgogliosi di sé, vedendo cose belle, ma io per esempio sono stato più influenzato da chi ha scritto di certi film piuttosto che dalle opere di altri registi. Grazie a quello ho iniziato a capire i dettagli. Ma è un dialogo continuo, uno scambio, e insieme un mistero”.

“Il cinema sta morendo?conclude. – Se fossi Trump o Berlusconi direi che è una domanda sbagliata, perché crea sensazioni negative, ma implica una idea di autocritica che fa parte della nostra tradizione. Credo che questo sia il momento più interessante di sempre nella storia del cinema, un’epoca matura per l’arrivo di nuove idee, nuove persone, novità. Non penso proprio che stia morendo”.

Cannes 2023 Ruben Östlund Room 999

 

Su Room 999:

“Nel 1982, Wim Wenders chiese a 16 dei suoi colleghi registi di parlare del futuro del cinema, dando vita al film Room 666. Ora, 40 anni dopo, a Cannes, la regista Lubna Playoust pone a una nuova generazione di cineasti la stessa domanda: è il cinema una lingua che sta per perdersi, un’arte che sta per morire?”