La storia siamo noi, diceva qualcuno, ma non tutti, allo stesso modo, possiamo dire di aver fatto la storia. Tanto meno quella della televisione, come fecero i protagonisti di quel momento incredibile dopo il quale la Storia – appunto – del piccolo schermo non fu più la stessa. E che Jason Reitman racconta nel suo nuovo Saturday Night, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 e al cinema – come evento speciale – dal 21 al 23 ottobre, distribuito da Eagle Pictures. Un film folle e forsennato, nel quale il regista di Juno, Tra le nuvole e Ghostbusters: Legacy cerca di ricostruire i novanta minuti che precedettero la messa in onda della prima puntata del “Saturday Night Live“, l’11 ottobre 1975, e l’intreccio di personalità debordanti di quanti si aggiravano nei corridoi della NBC, da John Belushi e Dan Aykroyd, a Chevy Chase e Gilda Radner, Andy Kaufman, Jim Henson o Billy Crystal.
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IL FATTO:
Alle 23.30 dell’11 ottobre 1975, una feroce troupe di giovani comici e scrittori cambiò la televisione – e la cultura – per sempre. Diretto da Jason Reitman e scritto da Gil Kenan e Reitman, Saturday Night è basato sulla storia vera di ciò che è accaduto dietro le quinte nei 90 minuti di dietro le quinte nei 90 minuti che precedono la prima trasmissione del Saturday Night Live. Pieno di umorismo, di caos e della magia di una rivoluzione che quasi non c’era rivoluzione che quasi non c’è stata, contiamo i minuti in tempo reale fino a quando sentiremo quelle famose parole…

L’OPINIONE:
Partecipare a una puntata del Saturday Night Live deve essere indubbiamente una esperienza unica, eccitante, esilarante, esaltante, per fortuna non irripetibile, come spera Jason Reitman, che nel presentare il suo film ha voluto condividere l’emozione ancora viva della sua prima partecipazione allo show, subito dopo la presentazione del Juno del 2007 che lo consacrò. E che con questo film, in qualche modo, raccoglie definitivamente – anche più che con il Ghostbusters: Legacy del 2021 (non ce ne vogliano i fan) – l’eredità del grande genitore scomparso nel 2022.
Coevo di quella banda di matti, lo humor dei primi Polpette e Stripes era infatti molto simile a quello portato alla NBC dal gruppo del radiofonico “The National Lampoon Radio Hour” (che già annoverava Brian Doyle-Murray, Joe Flaherty, Harold Ramis, Bill Murray, Gilda Radner e i grandi nemici Chevy Chase e John Belushi, che lì esplose dopo il successo di The Second City a Chicago con i primi tre di questa lista), spina dorsale del programma condotto da Lorne Michaels, in questa occasione interpretato dal Gabriel LaBelle che in The Fabelmans ci aveva raccontato la storia di tal Steven Spielberg.
Una conferma per il giovane attore, appena ventiduenne, che qui svolge alla perfezione il compito assegnatogli, regalandoci un timoniere credibile e con il quale empatizzare, disperati – per lui – in attesa che il destino si compia. Un ruolo chiave il suo, che vediamo dimostrare una incrollabile forza – e incoscienza – nel rifiutare ogni possibile Piano B, fedele alla citazione iniziale (“Non si va in scena perché siamo pronti, si va in scena perché sono le 23.30“) con cui si apre il film.
Che riesce a portarci dentro quel caos, tra corridoi affollati, set in costruzione, camerini movimentati ed emergenze tecniche, con il giusto ritmo, dando spazio a ogni volto omaggiato nel cast (con il Matt Wood di The Mandalorian a dar corpo a un importante Belushi e Dylan O’Brien nei panni di Dan Aykroyd, il Cooper Hoffman di Licorice Pizza come Dick Ebersol, Cory Michael Smith per Chevy Chase, Nicholas Braun nel doppio ruolo di Andy Kaufman e Jim Henson, fino a Ella Hunt/Gilda Radner e Rachel Sennott/Rosie Shuster) e indulgendo in piani sequenza, perfetti ai fini del risultato.

Sono i “Not Ready for Prime-Time Players“, come venivano chiamati ai tempi, quando il SNL veniva immaginato solo come alternativa alle repliche del Johnny Carson Show e la previsione ricorrente era “sarete dimenticati“, a catturare l’attenzione, inevitabilmente, ma il film e lo show sono un ottimo esempio di come nello spettacolo a volte le stesse individualità vengano potenziate dall’affresco finale nel quale apparentemente potrebbero scomparire.
C’è tutto, più o meno tra le righe: l’anarchia e l’istinto di Belushi, rabbioso e tenero e autodistruttivo, come racconta chi lo ha conosciuto (e la sua controversa biografia “Chi tocca muore“), il vero “domatore”, suo e di tutti, Dan Aykroyd, il forse troppo caricaturale Jim Henson (eppure molto credibile), come detto interpretato dallo stesso attore dell’altrettanto unico – e incredibile – Andy Kaufman, che regala uno dei momenti più esilaranti (insieme allo sketch sul cat calling al contrario, di incredibile avanguardia allora, un po’ furbo oggi), fino all‘insopportabile e presuntuoso Chevy Chase.
Una fucina di entropia – nello spirito della quale sarà bene entrare prima che inizi il film, o molto rapidamente – e di scorrettezza alla quale non avrebbero potuto opporsi lo ‘zio Miltie’ Berle di J.K. Simmons, vero “pezzo grosso” della tv statunitense, né il dirigente NBC Dave Tebet di Willem Dafoe o la responsabile del controllo di qualità della Catherine Curtin di Stranger Things e Orange Is the New Black. E che vediamo diventare ‘Storia’.
Grazie a un film esagerato, ma che rende perfettamente quanto artigianale fosse la grande tv all’epoca, che pur ottimamente sicronizzato forse non ha i tempi del dramma che alcune scene richiederebbero, e concede molto a un diffuso e affettuoso nostalgismo che toccherà profondamente i più anziani o fan del SNL. Magari non senza un pizzico di retorica, ma con geniali trovate di regia a controbilanciare, come quella della scansione temporale, del tutto arbitraria, che ci accompagna e – paradossalmente – dà ordine al caos, o del ‘conto alla rovescia’ segnato dal muratore, che ci accompagna verso un gran finale nel quale la magia si compie.
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Tutte le puntate e gli sketch del SNL (almeno i migliori, molti sono su Youtube), e i film con John Belushi e Dan Aykroyd, qualcuno con Chevy Chase (per esempio quelli di Harold Ramis e Fletch, ma NON quello nuovo) e perché no, il Man on the Moon che rendeva omaggio al genio tormentato e magnifico di Andy Kaufman.