Alla Mostra del Cinema, tra tante opere che rievocano dittature di estrema destra o riflettono sulla minaccia di un loro ritorno, c’è anche chi ci parla di liberazioni da quei regimi: è il caso di Luciana Fina, alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori col documentario Sempre, realizzato su invito della Cinemateca Portuguesa per il cinquantennale della Rivoluzione dei Garofani che depose, nel 1974, la dittatura di António Salazar. Un momento che anche il Portogallo festeggia, coincidenze della Storia, il 25 aprile.
Il doc ci immerge in quella stagione attraverso il montaggio dei materiali d’archivio della Cinemateca e della RTP (Rádio e Televisão de Portugal). La scelta di attingere ad entrambe le fonti, spiega Fina a Ciak, «ha una ragione d’essere: i registi all’epoca organizzarono il proprio sguardo per “interferire nella Storia” e fondarono delle cooperative. Queste capirono di non poter fare soltanto cinema per la sala. Quindi anche i materiali televisivi hanno un carattere cinematografico forte».
Per la documentarista si tratta del secondo film d’archivio dopo il precedente Andrómeda, sulla tv italiana degli anni ’70. Prima ancora di diventare un lungometraggio, il progetto di Sempre ha assunto la forma di un’installazione (altra forma artistica molto frequentata dalla regista) in tre parti, Sempre, a palavra, o sonho, e a poesia na rua. «Viaggerà anch’essa, lì dove possibile, riadattandola a nuovi luoghi, ma sapevamo che un formato filmico avrebbe dato più dignità all’opera di montaggio», afferma Fina, che da trent’anni vive e opera in Portogallo e la cui cultura, sottolinea, «è molto marcata dagli anni ’70 e da quello che gli amici più grandi mi avevano trasmesso della Rivoluzione dei Garofani, che è stata un evento inedito, un tentativo di costruire una società più giusta».
Rievocare quella stagione attraverso i materiali audiovisivi dell’epoca significa allora «ripensare alla Storia attraverso il cinema. Cioè poter usufruire di quel rapporto di empatia, prossimità, appartenenza con quel che era l’avventura della Rivoluzione». Un periodo in cui il mezzo audiovisivo non si limitava ad osservare i cambiamenti sociali e politici, ma ne «faceva parte».
Non manca una vena di malinconia nella lettura di Fina, perché quel tentativo di palingenesi radicale della società «è fallito, in un certo senso». L’amarezza è suggerita soprattutto dal lavoro sul suono (componente fondamentale del film) e in particolare attraverso l’elemento simbolico del vento: «Il vento sorge all’inizio, con la parola “Sempre”, e risorge in tutti i momenti dove la lotta di classe assume gli aspetti più duri. È un vento che torna nel presente, visto il successo dell’impero neoliberale che domina il nostro tempo e del modello americano di consumo individualista».
Non a caso, le istanze portate avanti allora restano attualissime: lotta contro lo sfruttamento del lavoro, contro l’oppressione patriarcale della donna e il colonialismo. Fina rende ancora più esplicito il cortocircuito con l’oggi, richiamando anche le manifestazioni contemporanee come quelle degli studenti per la giustizia climatica. «Viviamo in un’epoca oscura, l’idea del futuro è persa in questa oscurità, e la cosa che più ha da insegnarci quell’esperienza rivoluzionaria è la capacità di immaginare un mondo emancipato».
Vale perciò tanto più la pena ricordarla, considerato anche che in Portogallo non tutti i giovani ricordano la liberazione del 1974, malgrado i festeggiamenti siano ancora molto partecipati: e uno slogan che non manca mai è proprio “25 Aprile sempre”, da cui il titolo del doc: «Lasciare solo la parola “Sempre” rimanda all’idea di una capacità che può essere sempre ripresa di sognare il futuro e riprenderlo in mano. Un’ipotesi di ritorno al sogno che è anche una provocazione».
Dove trovano spazio anche due titoli italiani, citati nel film: Bianca di Nanni Moretti, e All’armi siam fascisti!, di Cecilia Mangini, Lino Del Frà e Lino Miccichè: quest’ultima per Fina è «un’opera di montaggio straordinaria», che ha dato a Sempre «una doppia chiave di violino, sia cinematografica che storico-politica», rimandando «al modello di Salazar», ossia la dittatura mussoliniana, ed essendo stata realizzata all’indomani delle proteste contro il Governo Tambroni e l’alleanza DC-MSI «per dimostrare che il fascismo non era morto».