Short 2025 – Il Concorso Internazionale inizia tra microcosmi familiari e macrocosmi sociali

La competizione tra i corti del festival di Ca' Foscari è stata inaugurata il 19 marzo all'Auditorium Santa Margherita di Venezia con i primi 6 lavori: Dragfox, Far Between Us, Punter, Beautiful Smile, Please Listen to Me e Uninvited.

0

Ce lo aveva anticipato Roberta Novielli, direttrice artistica e organizzativa del Ca’ Foscari Short Film Festival, che il Concorso Internazionale di questa 15ma edizione avrebbe visto come tema, non programmato ma emerso dal mosaico dei differenti filmmaker e contesti, quello della famiglia, anzi delle famiglie: perché la realtà plurale e problematica dei nuclei affettivi oggi non si riduce (benché qualcuno lo desideri) ai binari della norma etero-patriarcale. Già questo dato evidenzia che il microcosmo familiare allo Short non è disgiunto, né potrebbe esserlo dal macrocosmo della società e della Storia. E infatti, già dai primi 6 corti in competizione (proiettati la sera del 19 marzo all’Auditorium Santa Margherita), le dinamiche tra genitori, figli e figlie intrecciano questioni che vanno dalla ludopatia alle derive di guerra e razzismo.

Lo sguardo è sovente ad altezza bambino, come in Dragfox di Lisa Ott (svizzera con base a Londra, dalla National Film and Television School), che dopo la pre-apertura del festival il 18 marzo offre un’altra prova della vitalità di una tecnica (di tecniche), l’animazione, valorizzata allo Short senza gerarchie né preconcetti. Quella di Dragfox è una memorabile fiaba in stop-motion con un cuore di musical, che parte in una notte immersa nelle sonorità cullanti e trasognate della compositrice Charli Mackie, tra una volpe in agguato all’esterno e un ragazzino all’interno di fronte ai dubbi, ai desideri e ai tabù di un’identità non conforme agli stereotipi di genere.

L’incontro tra umano e animale è l’esplosione di un drag-show liberatorio (tanto più in quest’epoca di omotransfobia, anche istituzionale, che si fa ancora più aggressiva), meta-filmico e teneramente autoironico. Grazie anche alla guest-star Ian McKellen, voce di una coscienza queer che invita il giovanissimo protagonista (e non solo) a non avere la mente chiusa, e a domandarsi cosa ci sia di sbagliato nel cercare, semplicemente, di essere felici per come si è.

Un’immagine di Dragfox.

Ci sono poi i ragazzi in live-action di Far Between Us  (Daleko mezi námi, di Vojtěch Javůrek, Academy of Performing Arts di Bratislava), Punter (di Jason Adam Maselle, Tisch School of the Arts) e Beautiful Smile (di Sophia Albrecht, Hochschule Macromedia München). Il primo posa lo sguardo in modo non banale sulla dialettica tra omogenitorialità maschile e maternità biologica – tanto più rilevante in un Paese, l’Italia, che oggi liquida la complessità di percorsi e unioni dividendoli e perseguendoli sotto l’ascia del “reato universale” di gestazione per altri.

E il corto ci aiuta a tenere a mente come le più fragili e meno visibili vittime di certi conflitti e crociate siano proprio i figli come il piccolo Vasek, che vede il suo mondo, fondato sul legame con i due padri che lo hanno cresciuto, a rischio crollo. Entriamo delicatamente nel suo punto di vista, con una ricchezza di suggestioni poetiche e cinematografiche in cui echeggiano la Melancholia di Lars von Trier, gli incendi fisici e allegorici de Il cielo cade di Christian Petzold e perfino certi risvolti dell’apocalittico Bussano alla porta di Shyamalan.

Ancora in un’entropia affettiva al maschile si gioca Punter (produttore esecutivo Spike Lee), in una Johannesburg di alienazioni e frustrazioni sociali (e, forse, mai del tutto risolte tensioni etniche), con un genitore perso nella spirale del gioco d’azzardo e un figlio che, malinconico Virgilio mancato, si perde assieme a lui tra le peripezie di un compleanno dove nulla potrà andare per il verso giusto. Infatti il mesto spaccato è fatto in particolare dai primi piani alterni e contrapposti dei due personaggi, tra la febbre della dipendenza nell’uno e la speranza che muta in ansia e si spegne in rassegnazione nell’altro.

È dedicato significativamente a «tutti i bambini che hanno dovuto o devono sperimentare guerra, genocidio, deportazione o che devono fuggire» il corto tedesco-estone Beautiful Smile, che tratteggia l’inizio una (im)possibile, paradossale commedia romantica nello spazio tragico di un vagone il cui tragitto e la cui meta evocano il trauma novecentesco per definizione, l’Olocausto. Il sorriso della bimba di cui s’innamora il coetaneo Viktor è allora, come il vestitino rosso di Schindler’s List, l’epifania scandalosa di un’umanità negata e sacrificata dal Potere. Cui, comunque, non viene mai concessa la scena, tutta riservata alle vittime di un passato e presente aberrante, che qui trovano una lingua comune strappando momenti di complicità, calore e persino humour nero ai carnefici.

Altre stagioni della vita, infine, sono al centro del cinese Please Listen to Me (di Keyu Zhou, China Central Academy of Arts) e del russo Uninvited (di Ekaterina Ganzhela, Film School “Svobodnoe Kino”), che tra le altre cose portano avanti la vocazione cosmopolita dello Short, in alternativa alla militarizzazione di questi anni, e all’arroccamento retorico nel mito di una superiorità (o addirittura esclusività) culturale dell’Occidente o dell’Europa.

Un’immagine di Please Listen to Me.

Quanto invece la grandi contraddizioni del mondo contemporaneo (specie dalla prospettiva di chi, dal basso, le subisce) siano trasversali ai confini tra nazioni e blocchi geopolitici, lo dimostra il corto radicalmente sperimentale di Keyu Zhou. In una sorprendente, densissima animazione che traduce in immagini il flusso di coscienza di un ventenne, Please Listen to Me ci immerge nel lamento collettivo di una generazione orfana anzitempo di colori e slanci utopici, reclusa in una cappa di depressa disillusione. Nella solitudine di una metropoli consunta e crepuscolare, l’immaginazione mostra già la corda, ma permette al protagonista di intavolare un dialogo con alieni di altre età, maschere di una stand-up comedy sulla difficoltà a comunicare, anche con sé stessi.

E chiude con un affondo nella carne viva di una borghesia senza bussola morale Uninvited, dove le note ironiche di una coppia di genitori che fanno visita al figlio (violinista acclamato) nella sua casa di campagna sprofondano nell’incubo di un horror spietato. Dove a fare ancora più paura è l’impossibilità, per il padre e la madre incapaci a mettere in discussione il proprio benessere sociale e familiare, di fare i conti con l’abisso che li riguarda, diventandone complici nel peggiore dei modi. Tra primissimi piani, montaggio e musiche allucinati, il microcosmo si specchia ancora, oscuramente, nel macrocosmo.