Venezia 81, Mehdi Barsaoui racconta la sua Tunisia in Aïcha

Il regista presenta il film in Orizzonti che vedremo al cinema nel 2025

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Mehdi Barsaoui Aïcha

È necessario morire, in Tunisia, per essere liberi?” si chiede Mehdi Barsaoui nella presentazione di Aïcha, suo secondo film in concorso in Orizzonti alla 81. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia (e al cinema presumibilmente nella prima metà del 2025, distribuito da I Wonder Pictures). Una domanda che anticipa la premessa su cui si basa la storia della protagonista interpretata da Fatma Sfarr, trentenne ‘in trappola’ in una vita che le sta stretta, tra il lavoro in un grande hotel, una relazione clandestina senza futuro e l’obbedienza ai desideri di due genitori molto tradizionalisti. Almeno fino a che, un giorno, il minivan che quotidiamente la porta dove lavora ha un incidente, di cui lei è l’unica sopravvissuta. Una occasione unica per costruirsi una nuova vita, che la giovane donna coglie al volo fuggendo a Tunisi e creandosi una nuova identità. Purtroppo anche attirandosi nuovi problemi, inevitabili in un percorso tanto doloroso di emancipazione.

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Un percorso del quale ci parla lo stesso autore, spaziando dalla situazione attuale nel suo Paese (Barsaoui ha studiato a Bologna, ma è nato a Tunisi, “come la Cardinale“) e il desiderio di fare un cinema legato alla realtà, nel bene e nel male.

Si è ispirato a dei fatti reali per la storia di questa ragazza, quanto fedelmente li ha riportati?
L’ispirazione viene da un fatto di cronaca avvenuto nel 2019, quando una giovane donna  subìto un incidente automobilistico finse di essere morta per testare l’amore dei propri genitori. Mi aveva molto colpito questa idea, questo gesto e questo bisogno di scomparire per potersi reinventare, mi aveva stupito e colpito la disperazione del gesto ma anche il coraggio, l’eroismo. Non avevo pensato di farne il tema del mio secondo film fino a quando poi mia moglie non mi ha annunciato che saremo diventati genitori di una bambina, a quel punto mi sono immedesimato nel dolore che devono aver provato quei genitori nell’immaginare la propria figlia morta. Ho cominciato a riflettere su quali potevano essere le ragioni che spingono una donna a fingersi morta, e a morire per vivere. L’ho trovato un atto e un gesto molto cinematografico, per cui ho dimenticato lo spunto originale e ho sviluppato la ricerca di questa giovane donna, convinta di poter trovare la felicità a Tunisi.

Poi avete lavorato totalmente di fantasia, senza cercare qualcuna delle figure coinvolte allora?
No, è finzione al 100%, mi sono effettivamente ispirato all’evento reale per inventarmi un personaggio completamente diverso, non ha la stessa età, non ha lo stesso profilo, è fantasia al 100%.

Venezia 81, Mehdi Barsaoui racconta la sua Tunisia in Aïcha

Nel film vediamo anche un’importante sentenza, che vede alcuni poliziotti come imputati, anche questo è un elemento preso dalla realtà?
Assolutamente sì. Anche se nel 2012 una donna violentata da tre poliziotti sporse denuncia e portò al processo con questi poliziotti. Viviamo in uno stato di diritto nel quale ciascun cittadino può intentare una causa anche contro il Ministro della Giustizia o il corpo di polizia, a maggior ragione dal 2011 in poi, dalla Primavera Araba, che in qualche modo ha ridato al popolo la possibilità di esprimersi in modo democratico e quindi c’è libertà di espressione e ciascuno può denunciare e prendere posizione nei confronti di abusi e situazioni di questo tipo.

A parte il poliziotto, ci sono molti personaggi maschili negativi, per mettere in risalto la condizione femminile?
In realtà trovo che ci siano personaggi maschili positivi, come il padre, che è piuttosto un uomo spento, ferito, privo di voglia di dire qualcosa, tanto che non dice niente, figlio di una società patriarcale, in cui l’uomo si è sempre sentito superiore alla donna, ma questo film dimostra che forse è una società più matriarcale perché le donne tunisine sono forti. E non sono tutte positive, come vediamo nel caso della madre o di Lobna, l’amica che diventa mostruosa nel suo agire. A me piace che i personaggi siano contrastati, non ritengo che ci siano i buoni e i cattivi, ciascuno di noi ha in sé il bene e il male e io nei miei film cerco di essere realista, esattamente come lo sono nella vita reale. Mi piace avere dei personaggi che sono complessi.

Parlava della primavera araba, un movimento nel quale internet è stato fondamentale, oggi in Tunisia c’è libertà? Nel film sembra mostrare facebook come un luogo di giudizio e di condizionamento
Quattordici anni dopo quella rivoluzione, nata in Tunisia, la situazione è ancora complessa. Il percorso verso una democrazia totale è in atto, ci sono delle pause d’arresto, delle cadute, ma ci si rialza ogni volta. Sicuramente è complessa, ma positiva, come ricerca verso questo tipo di vita e di società, non sono in grado di dire quando raggiungeremo la totale democrazia, ma detto questo non c’è alcuna forma di censura in Tunisia, se c’è una libertà acquisita grazie alla rivoluzione della Primavera Araba, è proprio quella della libertà di espressione, che è garantita e protetta anche dallo Stato, ed effettivamente quello è un diritto acquisito enorme che permette a ciascuno di noi di denunciare, di criticare quello che può essere un abuso, una situazione non corretta al livello sociale.

Un elemento importante del film sono le scene, e le location, sono le stesse raccontate nella storia, sono quelle nelle quali viveva?
Intanto, il Mirage Palace del film non esiste, per non avere problemi ho inventato il nome dell’albergo, che ovviamente è un vero albergo. In generale, per me, le location di ambienti esterni o interni sono molto importanti, al punto che come abitudine, dopo l’elaborazione della sceneggiatura, normalmente parto da solo per i sopralluoghi. Vado in giro in macchina a cercare le location e trascorro del tempo in questi luoghi, e sulla base delle sensazioni che questi luoghi mi danno riscrivo le scene. Questo può dipendere dalla luce, dall’architettura o da quello che la realtà del luogo mi dà, ed è molto importante per me perché mi aiuta ad ancorare al contesto la narrazione scritta. È la fase in cui io affino la sceneggiatura, perché ho sempre un’attenzione particolare e la volontà di realizzare dei film realisti, per cui mi preme descrivere delle situazioni verosimili, non vere, ma verosimili.