STACY MARTIN: L’IMPORTANZA DI NON ESSERE (ANCORA) JOE

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Il rischio era notevole: che dopo il ruolo dell’adolescente Joe in Nymphonaniac, venisse schiacciata dalla prepotenza di una parte difficile da dimenticare, fanciulla vittima delle ossessioni, degli sfoghi artistici e del genio pazzoide di un regista perverso come Lars von Trier. E invece no, perché Venezia 72 ha rivelato che Stacy Martin non ha nessuna intenzione di rimanere Joe per sempre. Mostrando un atteggiamento spavaldo ma finto-innocente, da ragazzina che spiega ai genitori con entusiasmo apparentemente modesto com’è andata la nottata in discoteca, si è presentata a una schiera di giornalisti nel giardino di un albergo veneziano: con un vestitino abbottonato fino al collo da brava scolaretta – un look non troppo differente da quello utilizzato in qualche scena cult del film di von Trier – ha risposto alle domande con grande scaltrezza e abilità seduttive.

L’occasione è stata la presentazione nella sezione Orizzonti del film Taj Mahal di Nicolas Saada, dove interpreta la figlia di una coppia che si deve trasferire a Mumbai per motivi di lavoro, temporaneamente costretta ad alloggiare nello sfavillante hotel della capitale indiana. Si troverà sola, chiusa in camera, mentre un gruppo di terroristi si lancia in un attacco devastante ai danni dell’albergo. Il thriller è palpitante e anticonvenzionale, e Stacy regge molto bene la parte centrale della pellicola, quella più difficile, dove lo sguardo di Saada si concentra esclusivamente su di lei all’interno della stanza, terrorizzata, cercando di evitare sussulti, rumori e grida per non farsi notare dagli attentatori. Chi ha visto Nymphomaniac, avrà riflettuto sul fatto che per la Martin questo dev’essere stato un ruolo più “naturale” da interpretare: adolescente borghese, un po’ viziata, intellettuale (legge Pasolini), completamente privo di imprese erotiche al limite della pornografia. Ma se Taj Mahal ha ricevuto un discreto numero di applausi al termine della proiezione per la stampa, il merito è soprattutto suo.

Elegantemente, Stacy ha sviato alle domande dei giornalisti che volevano che raccontasse, con minuzia di particolari, l’esperienza vontrieriana nei dettagli. Lars è il passato. L’intenzione è quella di proporsi come una ex studentessa con la passione della recitazione, una cinefila di Montmartre che ha sempre sognato di poter fare lo stesso mestiere di Isabelle Huppert. «Mi piacerebbe lavorare anche con Juliette Binoche. Ho partecipato ai provini per L’attesa di Piero Messina, ma il regista siciliano ha preferito la belga Lou de Laage». Nessun rancore, malgrado la sceneggiatura, secondo lei, fosse meravigliosa. Senza dimenticare la sua presenza di qualche mese fa a Cannes per Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, Stacy era al Lido anche però The Childhood of a Leader di Brady Corbet, vincitore del Leone del futuro come miglior opera prima, nel quale è l’insegnante di francese del piccolo e iroso Prescott. Un altro ruolo sorprendente e incisivo, lontanissimo da chi si aspettava una variazione sul tema di Nymphomaniac.

Non sono tanto i nomi dei registi a convincere Stacy Martin, quanto la potenza dello script. A tal proposito, la attendiamo di vedere anche nel thriller francese La dame dans l’auto avec des lunettes et un fusil, a fianco di Elio Germano. Quando il responsabile dell’ufficio stampa fa segno ai giornalisti che il tempo è terminato e che lei è attesa per altre interviste, Stacy trova comunque il modo di fermarsi per qualche minuto per farsi fotografare da chi si dichiara ancora folgorato dalla sua prova viscerale di Nymphomaniac. Lei sorride, con garbo e leggerezza, mettendosi in posa, per quanto sia apparsa chiaramente la sua volontà di non parlare di nuovo di quel film, di quel regista, di quel periodo.

Emiliano Dal Toso

Ph. di Piermarco Menini