100 ANNI DI TECHNICOLOR: STORIA DI UNA RIVOLUZIONE AL CINEMA

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Nel 2015 Technicolor compie 100 anni: la storica azienda Technicolor Motion Picture Corp. è stata fondata il 19 novembre 1915 da Herbert T. Kalmus. Per celebrare il centenario, ripercorriamo attraverso i pionieristici esperimenti degli anni ’20 la piccola grande storia del colore al cinema. Quando i primi delicatissimi negativi a colori venivano trasportati nelle scatole per il gelato

Nel cinema moderno il colore sembra essere un fatto scontato per gli spettatori: vedere in una pellicola le stesse sfumature che percepiamo nella vita reale è normale, anzi ci stupiremmo se così non fosse. L’avvento del colore sullo schermo come oggi lo conosciamo, invece, è stato un viaggio arduo, costellato di difficoltà e di alti e bassi. Prima della nascita della Technicolor, società guidata da Herbert T. Kalmus nel 1915, e divenuta metodologia cardine del cinema a colori, George Méliès, attratto da effetti speciali di ogni tipo, aveva iniziato a colorare le pellicole a mano, fotogramma per fotogramma. Un’operazione laboriosa, che richiedeva tempo e pazienza e spesso il risultato non era all’altezza delle aspettative. «Sin dall’inizio si è cercato di ottenere un colore che rispecchiasse la realtà, più naturale, ma era veramente difficile da un punto di vista pratico, per questo la tecnica del Technicolor è frutto di diversi esperimenti », spiega James Layton, esperto di Technicolor, che lo scorso ottobre si è occupato di curare la rassegna sul cinema delle origini a colori per la 33ª edizione delle Giornate Internazionali del Cinema Muto di Pordenone.

BEN_HURQuesta tecnica di lavorazione ha dovuto affrontare molti ostacoli, sia pratici che di ricezione da parte del pubblico. Inizialmente era utilizzata soltanto per produrre fascinazioni negli spettatori, per stupirli. Basti pensare a Ben-Hur: A Tale of the Christ di Fred Niblo (1925): le scene a colori sono poche, circa dieci minuti su oltre due ore di film. L’intento della casa di produzione, la M.G.M, era quello di far vedere quanto i suoi studi fossero innovativi e il colore serviva a magnificare le parti religiose del film.

Viene spontaneo domandarsi come gli addetti ai lavori recepissero un’innovazione di tale portata: per direttori della fotografia, cameraman, truccatori e costumisti doveva essere difficile relazionarsi con quello che è il colore, quindi con modalità di ripresa differenti e anche con uno stile del tutto diverso. «La Technicolor offriva un servizio clienti di consulenza », dice Layton. «Insomma, non offriva solo il risultato finale del film a colori, ma mandava sul set cameraman specializzati e consulenti del colore ».

Nell’agosto del 1924, infatti, quattro operatori della Technicolor affiancarono la troupe di Niblo in Italia, perfetta location per girare la storia di Judah Ben-Hur. In quel caso, però, erano emersi anche altri problemi: primo fra tutti la lontananza tra gli studi di Boston, dove si stampavano le pellicole, e il set. Per portare oltreoceano i sensibilissimi negativi utilizzati per le riprese a colori, e mantenerli alla giusta temperatura, sono stati usati contenitori per il gelato. Ovviamente l’enorme distanza tra Italia e America ha anche rallentato notevolmente l’uscita del film, e nondimeno ha fatto lievitare i costi di produzione a livelli stratosferici: la M.G.M. ha speso quasi quattro milioni di dollari per realizzare Ben-Hur, i cui introiti non pareggiarono comunque le spese fino alla sua riedizione sonora del 1931.

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The Black Pirate

The Black Pirate, girato negli stessi anni sotto la guida di Albert Parker, con Douglas Faribanks (uno dei divi incontrastati degli anni Venti che più credeva nell’innovazione della tecnica cinematografica tanto da finanziare la pellicola), è stato il primo film in cui il colore è stato usato in modo creativo. «I film di pirati che ho visto finora erano sempre deludenti perché erano tutti in bianco e nero, mentre il colore è il vero tema, il carattere peculiare della pirateria…il film richiede assolutamente il colore », dichiarava all’epoca l’attore in un’intervista rilasciata al Motion Picutre News. Lo studio svolto prima di iniziare a girare il film è stato massiccio: per rendere perfette le riprese in Technicolor infatti è servita una fase preparatoria lunga quattro mesi nella quale si è sperimentato come adattare costumi e scenografie alle nuove tecniche. The Black Pirates si è rivelato poi un ottimo connubio tra una storia solida e un lungometraggio progettato per essere interamente a colori.

Molte sono state le problematiche che la società della East Coast ha dovuto affrontare, e non sempre tecniche: «C’era una sfida tra gli artisti di Hollywood e gli ingegneri a Boston, poiché mentre i tecnici del Technicolor cercavano un modo schematico di fare i film per ottenere una perfetta colorazione, gli artisti invece volevano una maggior libertà d’azione e quindi più volte sono nati dei conflitti », ha spiegato divertito Layton.

Non tutti però nel cinema delle origini hanno visto il colore come un’innovazione positiva: guardare Charlot a colori sarebbe risultato migliore? Chaplin non era d’accordo, anzi sosteneva che il colore sarebbe risultato una distrazione. Ogni artista, all’epoca, faceva la sua scelta, anche mescolando le tecniche: «Ci sono un paio di esempi interessanti: uno è Buster Keaton che ha usato il colore in sette scene ma le ha tolte e le ha tenute fuori dal film, e poi c è Hanry Langndon in Long Pants che ha realizzato un flashback a colori che è stato un completo disastro », ha detto Layton, sottolineando in questo caso la diversa ricezione da parte del pubblico rispetto a differenti generi cinematografici.

La fase di maggior sviluppo del colore è avvenuta intorno agli anni Trenta, soprattutto grazie alla diffusione del sonoro. L’evoluzione creativa del colore diventa palese in film come Singin’in the Rain di Stanley Donen e Gene Kelly, o Il Mago di Oz di Victor Fleming: quest’ultimo ha infatti utilizzato artisticamente sia il bianco e nero, per identificare il mondo reale in cui vive Doroty, sia il colore per segnare il passaggio al fantastico universo di Oz. Era il 1939, e la rivoluzione del colore aveva già cambiato per sempre il volto del cinema.

Rudy Ciligot