5 COSE DA SAPERE PER DIRSI “INDIE” E PREPARARSI AL SUNDANCE FILM FESTIVAL

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A Park City, nello Utah, è iniziato il Sundance Film Festival, l’appuntamento più celebre col cinema indipendente di tutto il mondo, in programma fino al 1 febbraio. Ecco le 5 regole base per arrivare pronti all’esperienza più “indie” dell’anno

L’idea di Operazione Canadian Bacon (1996) Michael Moore l’ha avuta proprio al Sundance. A poche settimane dall’Orso d’oro a Berlino, i duetti d’amore tra Ethan Hawke e Julie Delpy – in Before Sunrise (Prima dell’alba) – hanno conquistato Park City e lievitato il successo di Richard Linklater. Quando non c’era ancora un sistema “indie”, esisteva quello off-off della Corman Factory, mentre negli anni Cinquanta cominciava ad avventurarsi nel mondo dei teenargers l’AIP, American International Pictures. Dalla fine degli anni Settanta, il DNA del Sundance Film Festival inchioda codici d’autori, come quello di Aronofsky o il documentarismo impegnato di David O. Russell, il bianco e nero vamp di Abel Ferrara (The Addiction, ’95) fino alle corse a perdifiato, nel New Mexico, a bordo di un Volkswagen T2 Microbus giallo (ricordate Little Miss Sunshine?).

La strada del grande festival indipendente, oggi, è alle prese con un compito difficilissimo: bypassare il mercato che ha sempre più le sembianze di un instant book (instant video, meglio) e affidarsi a nuove, energiche scommesse, arrivando “primo”, come quando ha messo in concorso il bambino texano di Boyhood (miglior film drammatico ai Golden Globes e 6 nomination all’Oscar). Ma per dirsi pronti al Sundance – dal 22 gennaio al 1 febbraio – non basta far banchetto col passato; ci sono alcuni pezzi di puzzle che renderanno l’esperienza stupefacente, se incastrati con passione.

1 – AVERE FIUTO (UN FIUTO GIOVANE) – L’overdose da opere “indie” è un piacere forte ma solo su carta: dei 127 lungometraggi (103 anteprime) provenienti da 29 paesi, e 45 registi al debutto, tra cui 19 in concorso, occorre stilare una “wishlist”, listona dei cine-desideri dove non può per forza entrar tutto. In una ipotetica scala di pre-cult da tener d’occhio – lo scorso anno c’erano Whiplash, The Skeleton Twins, Obvious Child e The Guest – fate largo a film meno scritti e più liberi, alle idee sospese tra verità e fiction.

2 – AZZECCARE QUALCHE TITOLO… SEGUENDO I DISTRIBUTORI – Il mercato americano sembra già puntare su Best of Enemies, viaggio verso l’annozero 1968, quando su ABC andò in onda il dibattito televisivo tra Gore Vidal e William F.Buckley Jr; ci sono anche Van Damme, Stallone e Chuck Norris contro il regime comunista nella Romania degli anni Ottanta (il mondo delle VHS simbolo di rivolta per la libertà e il ripristino del contatto con l’Occidente), e ancora, Jason Segel che in The End of the Tour interpreta David Foster Wallace (lo scrittore americano trovato impiccato nel 2008), un sinistro professore di Yale (Peter Sarsgaard) che chiede agli universitari di “somministrare” l’elettroshock a un gruppo di cavie, i vestiti da strada nel b-boy-fashion Fresh Dressed, tra breakdancers e hip hop vecchia scuola, il ritorno di Jack Black in The D Train.

3 – EVITARE LO SCANDALO A TUTTI I COSTI – Ogni anno, ad ogni edizione, ne scritturano uno di “film guascone”. I cattivi esempi, ai festival, ormai somigliano a gadget iperconservatori, e il destino del documentario Going Clear, dal regista di Mea Maxima Culpa, Alex Gibney (Oscar per Taxi to the Dark Side), rilancia la tradizione. Naturalmente perché si parla di Scientology, la Chiesa che, di recente, Silvio Berlusconi ha paragonato al MoVimento 5 Stelle di Grillo, perché secondo il cavaliere entrambe sono una “setta”. Dal libro del premio Pulitzer Lawrence Wright, l’indagine nel doc sui Dianetics miscela otto ex membri della congrega e la A-list delle celebrità di Hollywood. Che cosa spunterà fuori? Si intravedono polemiche con la coda dell’occhio. C’è chi minaccia di disseminare cartelli pro-boicottaggio in territorio Redfordiano. Un classico.

4 – NON DIMENTICARE LA VITA (DIFFICILE) A PARK CITY – Nel raggio di poche miglia, nulla. E ancora più in là, di nuovo nulla. Insomma, a parte il festival, non c’è vita in montagna. Mica è semplice azzeccare un punto di ritrovo (dal cibo alla sosta) una volta giunti a Park City e a Ogden. Tra le sale dell’Eccles, l’Egyptian, l’Holiday Village Cinema, la Library e lo Yarrow Hotel Theatre, spunta a malapena un supermarket (zombie) che piacerebbe a Romero o ai Clash; seguono stringatissimi thailandesi, zuppette essenziali e Starbucks al cubo. La dolce assenza di un buon mall o di una tavola calda che non sia il solito diner sui canyon, può aiutarvi a condurre un Sundance a basso costo e a risparmiare le forze per i film in programma. Potreste sempre alloggiare in un appartamento munito di cucina, se la fame è cronica e sentiste il bisogno di ritagliarvi uno spazio tutto vostro. Poi, ci sono sempre le piste da sci.

5 – VIETATO AMMALARSI – Cominciate a sentire brividi, respirare con difficoltà, avere mani all’olio d’hamburger? Chiamate un elicottero personale! Attorno al festival, dottori, ospedali, farmacie non sono facilissimi da reperire (e chi è fanatico di omeopatia e di erbe medicinali, si arrenda, prego). Due anni fa, il Park City Medical Center ha fronteggiato il panico da virus dilagante distribuendo 5.000 boccette antibatteriche per le mani. Le avevano espressamente richieste gli agenti di star come Ashton Kutcher, Daniel Radcliffe e Jessica Biel. Tutti sul punto di abbandonare la presenza nello Utah, Perché, si sa, neppure Hollywood è immune all’influenza.

Filippo Brunamonti