“F IS FOR FAMILY”: GLI ANNI ’70 SECONDO NETFLIX

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Rabbiosi, scorretti, disillusi e, a loro modo, nostalgici: sono gli Stati Uniti degli anni ’70, tradotti e animati nella serie targata Netflix F is For Family

F_Is_For_FamilyCosa c’è dentro quelle colorate casa a schiera, con staccionata fresca di vernice, automobile lucidata in garage e, oggi come ieri, televisione di ultima generazione perennemente acceso? Ce lo dice, con una forte dose di (nerissimo) humour e linguaggio ai limiti dello politicamente (s)corretto, la serie animata F is For Family, composta da sei episodi, prodotta da Netflix e, come sempre, disponibile per interno sul portale on-demand. Infatti lo show, ideato e scritto dal comico Bill Burr e da Michael Price, nonché prodotto anche dalla Wild West Television di Vince Vaughn, è ambientato in quei sobborghi tutti uguali – e che non sono cambiati poi tanto da allora – degli Stati Uniti anni ’70, quando Richard Nixon ”passò la mano” al Presidente Ford che, a sua volta, lasciò un’incompiuta America a Jimmy Carter. Erano gli States delle prime televisioni a colori, del lavoro (ri)trovato dopo esser tornati (o almeno per chi ha avuto la fortuna di tornare) dalla Corea, ma erano anche gli States della scoperta delle droghe, dei rapporti padre-figlio e dei sogni ormai divenuti illusioni. Insomma, erano gli States di Frank Murphy e della sua famiglia, protagonisti assoluti della serie e specchio (a loro modo nostalgico) di quegli Stati Uniti che furono.

UNA FAMILY AD ALTO TASSO DI CATTIVERIA F_Is_For_Family3

F is For Family, che va ad affiancarsi all’altra serie animata di Netflix Bojack Horseman, deve naturalmente tanto alla serie ”family” per antonomasia de I Simpson (tra l’altro Michael Price è uno degli autori del capolavoro targato Groening) e, per linguaggio (anche se in questo caso molto più coerente rispetto alla sceneggiatura, alla cornice e alle vicende degli episodi), a I Griffin di Seth MacFarlane. Scurrile, strillona, a tratti volgare e sfacciatamente cattiva, la serie è avvolta da una resa grafica di altissima qualità (ormai un marchio di fabbrica dei prodotti Netflix), poi impreziosita da una fotografia ”seventies” che scalda i colori saturi dei disegni. E poi la caratterizzazione dei personaggi, ben riconoscibile e autentica, che da la sensazione, pur essendo ”figlia” delle serie sopra citate, che F is For Family sia un esempio perfetto di una certa originalità applicata a qualcosa di ”già visto”. Perché, la grossa forza del divertente show, sta proprio nei personaggi, in cui spicca ovviamente il pater familias Frank, impiegato di una compagnia aerea (ma sognava di essere qualcos’altro, come descritto nella splendida sigla d’apertura sulle note di “Come and Get Your Love” dei Redbone), stracolmo di rabbia e invidie, attorniato dalla moglie pseudo-depressa Sue, dal suo fidato cagnone e dai rispettivi tre figli in età pericolosamente diverse e complicate. Altra chiave che rende F is For Family una serie da guardare è il doppiaggio (chiaramente nativo) dei characters. Nel ruolo di Frank troviamo lo stesso Bill Burr, ma a dar voce alle ai Murphy ci sono altri nomi di spicco: Laura Dern, Justin Long, Haley Reinhart e, addirittura, Sam Rockwell, che doppia il simpatico hippy Vic, vicino di casa e controparte colorata di Frank. Entrambi, infatti, l’uno di fronte all’altro, rappresentano due modi di intendere l’America negli anni ’70 ma, quale dei due abbia resistito nel tempo (e alle illusioni), non pare essere tanto chiaro.

Damiano Panattoni

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