“LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT”: LA RECENSIONE!

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Regia Gabriele Mainetti Interpreti Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei Distribuzione Lucky Red Durata 112′

In sala dal 

25 febbraio

Un piccolo delinquente di borgata, Enzo Ceccotti, anestetizzato da porno e budini alla vaniglia in una Roma bersaglio di attentati terroristici. Una sostanza radioattiva capace di dotarlo di una forza sovrumana. Una giovane donna-bambina, Alessia, che lo crede Hiroshi Shiba, il supereroe dell’anime giapponese e un’antagonista ambizioso e psicopatico, lo Zingaro, con spiccate aspirazioni criminali.

Gli ingredienti del cinecomic ci sono tutti: un (anti)eroe che lentamente prende consapevolezza delle responsabilità derivate dai suoi poteri, un’innocente da salvare, un villain da combattere e una metropoli in ginocchio a fare da sfondo. Ma l’intelligenza e la bravura di Gabriele Mainetti (qui al suo debutto al lungometraggio dopo i fortunati corti Basette e Tiger Boy), coadiuvato alla sceneggiatura da Nicola Guaglianone e Menotti, risiedono nel saper contestualizzare gli elementi “classici” di un genere codificato per creare una pellicola originale e credibile seppur nel suo impianto narrativo supereroistico. Dal protagonista, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), con quel nome così anonimo e un carattere diffidente che ricorda l’”accattone” pasoliniano, alla sua nemesi, lo Zingaro (Luca Marinelli), boss criminale germofobico con un’ostentata passione per la musica pop femminile italiana anni ’80 e un bisogno disperato di apparire. Presentato nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma, Lo chiamavano Jeeg Robot, è puro cinema d’intrattenimento, nell’accezione più positiva del termine, grazie al sapiente dosaggio di azione, ironia, dramma e romance, senza dimenticare mai l’attenzione alla forma. Mainetti, regista, produttore (Goon Films) e compositore (con Michele Braga), con il suo ottimo debutto dà vita a personaggi che muovono empatia, dal supereroe che non sa fare l’amore alla dolcezza fanciullesca di chi il proprio dolore lo cura con un dvd passando per il grottesco bisogno di accettazione di un uomo solo. Lo chiamavano Jeeg Robot, tra maschere lavorate all’uncinetto, stadi trasformati in palcoscenico di epici scontri e villain glam rock, è una creatura inedita che mischia, gioca e azzarda, ampliando gli orizzonti narrativi del nostro cinema.

Manuela Santacatterina