“WHAT HAPPENED, MISS SIMONE?”: LA VITA A TEMPO DI JAZZ DI NINA SIMONE

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Presentato al Sundance prima e al Festival di Berlino poi, What Happened, Miss Simone?, è il documentario, presente su Netflix Italia, diretto da Liz Garbus e dedicato ad una delle voci più rappresentative del jazz: Nina Simone

What-Happened-Miss-SimoneCi sono voci capaci di raccontare la propria storia, dolorosa e travagliata, con la semplice intonazione di una melodia che ne riproduce in note il vissuto. Al pari di Billie Holiday o Dinah Washington, Nina Simone, era una di quelle interpreti che non si limitavano a salire sul palco per esibirsi in un numero prestabilito di canzoni e tornarsene in camerino a show finito. Per lei significava mostrarsi – fragile, rabbiosa, contestataria o ironica – al pubblico che era andato ad ascoltarla per condividere una parentesi di vita con un gruppo di adoranti sconosciuti. E non è un caso che What Happened, Miss Simone?, opera realizzata da Liz Garbus, sia uscito in un anno che ha visto il documentario biografico/musicale vivere la sua più lucente stagione, accostando la storia privata e pubblica di Nina Simone a quella della ragazza sfacciata di Camden Town in Amy, omaggio di Asif Kapadia dedicato a Amy Winehouse, o a quello del leader dei Nirvana Kurt Cobain in Montage of Heck di Brett Morgen fino a Janis, documentario presentato a Venezia72 ed incentrato sulla figura di Janis Joplin, la folletta hippy che rivive grazie alle lettere private lette da un’altra creatura fragile della scena musicale statunitense: Cat Power.

nina simonePresentato all’ultima edizione del Sundance Film Festival per poi essere proiettato alla Berlinale, il documentario è ora presente su Netflix, la piattaforma di streaming on line recentemente sbarcata anche in Italia. Arricchito da immagini e filmati inediti, What Happened, Miss Simone?, al pari di Amy e Montage of Heck, ci trascina nel privato più intimo della cantante, costruendo un sentimento di empatia che si trasforma, al progredire della narrazione, in indignazione, malinconia, rabbia o tenerezza per una donna fitta di contraddizioni. Nina Simone, al secolo Eunice Wymon, ci viene raccontata tramite i ricordi e le testimonianze degli amici e della figlia, Lisa Simone Kelly (anche produttrice esecutiva), ma è attraverso le pagine del suo diario o grazie ad interviste dell’epoca che, esattamente come negli altri lavori già citati, la vera Simone esce allo scoperto mostrandosi ambiziosa, spaventata, combattiva o amareggiata. Uno spettro di emozioni che dall’infanzia in un sud degli Stati Uniti razzista la vide bambina prodigio al piano passando per il successo mondiale, un matrimonio infelice e violento con il marito/manager Andrew Strout, fino alla lotta per i diritti civili e alla diagnosi di un disturbo bipolare che l’accompagnerà nell’ultima parte della sua vita trascorsa ad esibirsi, dietro compensi ridicoli, in piccoli locali parigini.

Una delle voci simbolo del jazz, sfumato di blues, folk o soul, che per tutta la vita rimpiangerà di non essere diventata la prima concertista nera d’America fino a rinnegare la sua preparazione classica che l’aveva formata e resa unica nel panorama musicale ma, al tempo stesso, schiava. Un rigetto della fama e dell’industria discografica che la spingerà ad abbracciare la causa dell’attivismo per i diritti civili in un’America fortemente razzista (e che ancora oggi non sembra aver fatto pace con il suo passato) nella quale si contrapponevano le opposte visioni di Malcom X con i Black Panther ed il sogno di fratellanza di Martin Luther King. Gli anni di Rosa Parks, delle manifestazioni pacifiche sfociate in bagni di sangue, della marcia Selma-Montgomery e delle bombe nelle chiese dell’Alabama che sfoceranno in brani di denuncia come Mississipi Goddam, spartiacque della sua carriera ed inizio di un lento esilio musicale ed umano.

Manuela Santacatterina