ADDIO ANITA EKBERG, MUSA DI FELLINI, SIMBOLO DELLA DOLCE VITA

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DI PIERA DETASSIS

AnitaEkberg
Anita Ekberg in La dolce vita

A distanza di poche ore se ne vanno il simbolo alto del nostro cinema d’impegno Francesco Rosi e il simbolo carnale della Dolce Vita, Anita Ekberg, l’Anitona che si bagnava nella fontana proibita sotto gli occhi languidi di Marcello Mastroianni. E sotto gli occhi di un’Italia che sognava l’abbondanza e la trasgressione negli anni del boom, dopo il buio della guerra. L’ho conosciuta, Anita, quando Scorsese venne a Roma per presentare il restauro di La dolce vita, uno degli eventi apicali del festival che allora dirigevo: aspra e ferocemente ironica, sempre un po’ incazzata, amaramente festaiola, lucida e brilla al contempo. Con Rosi e Ekberg, scomparsi a un giorno di distanza, comincia davvero a calare il sipario dell’epoca d’oro del cinema italiano. E molte domande sul presente restano sospese in aria, inquiete.

Proprio in questi giorni sto leggendo le pagine scritte da Gianfranco Angelucci sul “Fellini Proibito”, l’autore dei disegni erotici a profusione e lo stesso degli amori a catena, dell’infedeltà conclamata che tuttavia conviveva con l’amore per Giulietta, principio antico che valeva per i De Sica, i Mastroianni , gli uomini-harem di quel periodo perduto che Cristina Comencini ci racconterà nel prossimo Latin Lover. Così, per dire addio ad Anita, non trovo di meglio che affidarmi a quel che di lei scrisse Fellini e che Angelucci riporta fedelmente. «Se mi si chiede della Dolce vita », scrive il maestro, «come nel test delle associazioni rispondo subito: Anita Ekberg. A trent’anni di distanza il film, il suo titolo, la sua immagine sono per me inseparabili da Anita. Era di bellezza sovrumana. Quel senso di meraviglia, di stupore rapito, di incredulità che si prova davanti a creature eccezionali come la giraffa, l’elefante, il baobab lo provai quando nel giardino dell’Hotel de la Ville la vidi avanzare verso di me preceduta, seguita, affiancata da tre o quattro ometti, il marito, gli agenti, che sparivano come ombre attorno all’alone di una sorgente luminosa. Sostengo che la Ekberg oltretutto è fosforescente. 

Anita Ekberg nei disegni di Federico Fellini
Anita Ekberg nei disegni di Federico Fellini

Voleva sapere del copione, se il personaggio era positivo, chi erano le altre attrici e intanto beveva un bicchierone di quei cocktail pieni di colori, bandierine, pesciolini e parlava con una vocina raffreddata che la rendeva ancor più sconvolgente. Mi sembrava di scoprire le idee platoniche delle cose, degli elementi e in un totale rincoglionimento mormoravo tra me e me: “Ah, ecco, questi sono i lobi delle orecchie, queste sono le gengive, questa è la pelle umana” ».

Non si seppe mai davvero se l’incontro Fellini- Ekberg fosse poi stato più ravvicinato e poco ci interessa. Di sicuro ci ha regalato una scena indimenticabile, mille volte riprodotta e persino caricaturata, quella della fontana di Trevi, per cui ancora in giro per il mondo qualcuno è convinto che Roma sia un sogno. Senza di lei, non esisterebbero i disegni erotici raccolti nel Libro dei Sogni, stupefacente immersione nell’inconscio dell’artista, nè le magnifiche righe che ho appena trascritto. Di quest’ultime, poi, non sono affatto certa che parlino davvero di Anitona e non piuttosto di quel Fellini accucciato e dominato, sempre, davanti a «quell’ammaliante orca marina », lei, Anita, sunto di ogni altra donna. Perlomeno così come il Maestro le immaginava.