“AMY – THE GIRL BEHIND THE NAME” – LA RECENSIONE

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Amy -The Girl Behind The Name, Gran Bretagna, 2015 Regia Asif Kapadia Interpreti Amy Winehouse, Yasiin Bey, Mark Ronson, Tony Bennett, Pete Doherty Distribuzione Good Films/Nexo Digital Durata 90′ 

In sala solo 

15/16/17 settembre

Asif Kapadia, dopo il BAFTA vinto grazie a Senna, firma le regia del documentario, presentato fuori concorso a Cannes, dedicato alla moderna regina del soul, Amy Winehouse, a quattro anni dalla sua scomparsa, lasciando che sia la stessa cantautrice a raccontare la sua storia grazie a interviste, filmati privati e ai testi delle sue canzoni.

Mentre i titoli di coda del documentario scorrono in una sala ancora buia, accompagnati da qualche foto privata della giovane cantautrice di North London, in sottofondo si sentono le note di Valerie, la canzone dei The Zutons resa celebre da una cover della stessa Winehouse. C’è un verso del brano che risuona triste e beffardo: «Why don’t you come on over? ». Sì, perché quello che capita di pensare mentre si assiste, impotenti, al triste epilogo di una vita fatta di mancanza ed eccessi, è proprio questo. Tornare indietro per rifare tutto daccapo, riavvolgere il nastro di una canzone colma di imperfezioni e decidere di reinciderla per eliminare errori o sbavature. Amy – The Girl Behind The Name porta alla mente un altro recente documentario, quello che Brett Morgen ha dedicato alla vita di Kurt Cobain. Nonostante le differenze stilistiche, date dal taglio visivamente potente ed istantaneo di Morgen, in linea con il sound delle canzoni del leader dei Nirvana, rispetto a quello “virale” di Kapadia, i due lavori trovano nell’infanzia dei cantautori la chiave di lettura, il principio di quel tormento interiore che avrà sfogo nella musica per poi perdersi nelle droghe. Proprio i testi di Amy Winehouse, dal suo debutto jazz con Frank nel 2003, tanto da essere paragonata alle iconiche Billie Holiday e Dinah Washington, e la svolta soul, tre anni dopo, data da Back to Black, album prodotto da Mark Ronson che l’ha trasformata nella pin up con il microfono, sono alla base della narrazione del documentario e compaiono sullo schermo con la scrittura infantile della cantante nei suoi appunti privati. Diversamente dall’immediato Kurt Cobain: Montage of Heck, Asif Kapadia lavora sottotraccia, conducendoci lentamente verso quel finale insensato, facendo nascere nello spettatore un senso di disagio che lo accompagna per tutta la visione. Disagio dato da quell’empatia sincera che si prova per Amy, la ragazza di Camden Town imbattibile a biliardo, sempre con la battuta tagliente e ardentemente bisognosa di amore. Stilisticamente figlio del suo tempo, il documentario, è un lunghissimo videoclip composto da filmati casalinghi, interviste, immagini rubate, dietro le quinte, riprese fatte con il cellulare e registrazioni audio. Insieme costituiscono un tragico time lapse della vita di Amy Winehouse, dall’adolescente con lo sguardo sveglio alla giovane donna dall’espressione terrorizzata e vuota, accecata dai flash dei paparazzi in virtù di una fama che non ha mai voluto, sfruttata nell’amore e nella celebrità, strappata al suo futuro da un destino che non le ha dato il tempo di crescere. Amy – The Girl Behind The Name è il toccante e doloroso ritratto di una ragazza, delicata e potente come una melodia jazz.

Manuela Santacatterina