ANTEPRIMA “T2 – TRAINSPOTTING 2”: ECCO COM’È IL SEQUEL CULT DI DANNY BOYLE

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Simon (Jonny Lee Miller) e Mark Renton (Ewan McGregor) i

Il sequel di Trainspotting è un vortice emozionante che riflette su nostalgia, rimpianto e passato. In Italia arriva dal 23 febbraio

Non importa se avete cambiato vita o lavoro. Non importa se avete cambiato donna, amante, avatar del profilo Facebook, marca di sigarette o letto su cui dormire. O non dormire. Non importa se avete dimenticato le facce dei vostri amici più cari per non farvi soffocare dal rimorso. Non importa se scappate senza voltarvi indietro. È tutto inutile, il passato è dietro di voi. Inesorabile, vi segue e vi insegue, senza fermarsi mai, lui – nonostante tutto – più folle di voi, più furbo di voi. Superandovi quando meno ve l’aspettate, parandovi così davanti agli occhi, enfaticamente, ciò che poteva essere e non è stato. È così che succede Rent Boy, Sick Boy, Spud e Begbie.

È così che succede anche al premio Oscar Danny Boyle, che vent’anni dopo (mica pochi…), richiama per T2-Trainspotting 2 la banda cult del cinema europeo anni ’90, i focosi Ewan McGregor, Ewen Bremner, Jonny Lee Miller e Robert Carlyle, per farli rincontrare sui binari di un mondo diverso ma identico sputato a quello di ieri, per parlarci, sotto la sua elettrizzante e promiscua regia, non solo di cosa c’è stato dopo la ”scelta” di Renton, ma in particolar modo di cosa non c’è stato. Perché Boyle non vuole semplicemente tramandare il suo film cult alle nuove generazioni che ne hanno sentito parlare dai fratelli più grandi, bensì fa specchiare quegli spettatori (ora più che adulti) in un riflesso increspato che cela dolore, rabbia, angoscia, nostalgia.

Dopo essere scappato con la refurtiva, Mark Renton, disintossicato ma oppresso dall’ansia, torna in Scozia, per chiudere il cerchio con i suoi amici Daniel “Spud” Murphy e Simon “Sick Boy” Williamson, entrambi alle prese con i cambiamenti della vita. Caso vuole che, tornato ad Edimburgo, evade di prigione Begbie, intenzionato a vendicare il raggiro subito 20 anni prima.

La nostalgia è la protagonista del film, non più l’eroina, ma un’altra dipendenza che quasi corrode dentro, che mangia immagini e parole ormai sfocate (bravo Boyle nel citare il primo film, sfumandone le immagini e le note di quella generazionale Born Slippy), che, per quanto si possa volere, non permette più di recuperare il tempo perduto, anche se magari la tua cameretta, con il poster di George Best e il giradischi che suona Iggy Pop, è rimasta uguale a quando eri giovane. Giovane e stupido. Il passato, dice uno stanco Mark Renton, è lì, che ti fissa e urlandoti addosso quanto sei stato idiota a non scegliere il futuro. E quel riflesso, che Boyle alterna sopra gli iconici personaggi, arriva fino a noi, gettandoci violentemente addosso la necessità di dover andare avanti, obbligandoci a guardare e guardare qualcosa che non c’è più.

Va da se, perciò, che T2: Trainspotting – scritto da John Hodge ma basato sul libro-sequel Porno, datato 2002, naturalmente firmato Irvine Welsh –, nel suo intento e nella sua voluta cacofonia visiva e narrativa, è una spirale di emozioni convulse che spingono a riflettere su cosa tenere e su cosa lasciare andare, obbliga a fare i conti con i pensieri più profondi. Sono cambiate le cose, certo, c’è qualche capello bianco in più, qualche donna in meno, eppure sotto le nuvole grigie di Edimburgo, sotto il cielo nostro e di Mark e di Spud e di Sick Boy e di Begbie, continuano a sfrecciare le vite, le ossessioni, le pulsioni, le dipendenze e le discendenze di quei quattro disgraziati in cerca di qualcosa che ancora non conoscono. Come noi, come tutti, dipendenti dalla vita e dalle sue crudeli e beffarde declinazioni.

Damiano Panattoni

(Le foto della gallery sono di Pietro Coccia)

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