“ARRIVAL”: QUESTIONI DI INCOMUNICABILITÀ

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Come si fa a chiedere a degli alieni (tali in tutto) perché sono arrivati sulla Terra? 12 astronavi di forma ovoidale – sembrano recuperate dall’immaginario dei surrealisti – atterrano in altrettante parti del globo e da lì non si muovono. Cosa vogliono? La linguista Amy Adams è incaricata di trovare un linguaggio comune, prima che la situazione degeneri: l’umanità è spaventata e qualche stato minaccia di agire militarmente.

La bravura di Dennis Villeneuve è quella di rivisitare i generi, lavorando da punti di vista inconsueti, spesso molto realistici, per proporre temi etici da quelle parti inusuali. È stato così per Enemy, per lo splendido Prisoners, per Sicario. Ed è così anche in questo caso: alle prese con il battuto filone ansiogeno/catastrofico (dipende) dell’invasione extraterrestre, il cineasta canadese parte dai traumi di una umanissima professoressa per farci vivere insieme, passo dopo passo, le difficoltà quasi insormontabili della comunicazione tra due razze cresciute lontani anni luce. Tensione palpabile, “incasinamento” finale che esige più di una rimeditazione, un tocco forse un po’ troppo generico di buonismo universale. Davvero: Villeneuve pare aver trovato una soluzione soddisfacente tra le esigenze dello spettacolo popolare e quelle del cinema più raffinato. A questo punto anche le sue annunciate prossime tappe diventano allora degli appuntamenti imperdibili: il rifacimento di Blade Runner e un giallo dal grande Jo Nesbo.