BERLINO 2016: “FUOCOAMMARE”, IL DRAMMA DI LAMPEDUSA RACCONTATO DA ROSI

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Gianfranco Rosi porta alla Berlinale una delle più grandi tragedie del nostro tempo

Lampedusa tra emergenza e normalità, alla ricerca di ciò che è ancora invisibile in un luogo al centro del clamore mediatico. Gianfranco Rosi, Leone d’Oro a Venezia nel 2013 con Sacro Gra, apre con Fuocoammare le porte di un’isola diventata confine reale e simbolico di due mondi in rotta di collisione, luogo di salvezza, speranza e libertà per centinaia di migliaia di migranti in fuga da guerra e fame. E racconta una delle più grandi tragedie del nostro tempo alla platea del Festival di Berlino, nel cuore di Europa che erige muri, stende filo spinato e dibatte senza risultati uno temi più urgenti degli ultimi mesi.  Il documentario che prende il titolo da una canzone su vecchie navi da guerra in fiamme sul mare, è una coproduzione italo-francese e arriverà nelle nostre sale il 18 febbraio.

Per Rosi tutto è cominciato nell’autunno del 2014, durante un sopralluogo per verificare la possibilità di girare un cortometraggio commissionato dall’Istituto Luce, per offrire un’immagine dell’isola diversa da quella filtrata dai telegiornali. Una volta sul posto però Rosi ha capito di non poter condensare in soli dieci minuti un universo così complesso, e ha deciso di traslocare a Lampedusa per cercare la sua storia.
«Come spesso accade nel cinema documentario è arrivato il caos, l’imprevisto. Grazie a una bronchite durante i sopralluoghi ho incontrato il dottor Pietro Bartolo, che da quasi trent’anni assiste a ogni sbarco. Senza neanche sapere chi fossi mi ha mostrato le immagini che testimoniavano la sua drammatica esperienza sul fronte dell’assistenza medica e umanitaria. Immagini inedite che mi hanno fatto quasi toccare con mano il senso della tragedia e che mi hanno spinto a raccontarla anche attraverso gli occhi degli isolani. Mi sono trasferito a Lampedusa nel dicembre del 2014. Nel gennaio del 2016, quando il film era già stato selezionato a Berlino, ho girato lo straziante monologo di Bartolo che riflette su quanto sia impossibile abituarsi alla morte, soprattutto quella dei bambini ».

«Quando mi sono stabilito a Lampedusa – continua il regista – il centro di accoglienza era chiuso, per mesi non ci sono stati sbarchi. Cercavo personaggi che restituissero l’identità dell’isola, mi sembrava importante cominciare dai bambini e ho trovato Samuele, uno ragazzino di dodici anni che ama la terra, ma deve vincere il mal di mare “facendosi lo stomaco” sul pontile galleggiante del porto vecchio ». Poi sono arrivati Giuseppe Fragapane, dj di un’emittente locale, zia Maria che accudisce il marito e venera Padre Pio, Franco Paterna che si immerge per pescare ricci e patelle, Maria Costa, l’ottantenne nonna di Samuele, e Francesco Mannino, lupo di mare. «Attraverso lo stato d’animo di Samuele potevo restituire quello di tutti noi. L’ansia che non lo fa respirare è la stessa nostra, il suo “occhio pigro” e quello del mondo intero di fronte a questo dramma. Il suo colpire con la fionda un esercito di pale di fichi d’India e poi cercare di rimettere le cose a posto con lo scotch riflette il nostro continuo distruggere e rattoppare ».

Mentre Rosi seguiva i suoi personaggi, il Centro ha riaperto i battenti, e lui ha ottenuto il permesso di girare. «Ma non è stato facile puntare la telecamera addosso alle persone, ho fatto pochissime riprese tra quelle mura, mi sembrava che il senso della loro sofferenza fosse reso al meglio nella scena in cui un migrante appena arrivato canta insieme ai suoi compagni di viaggio un gospel sulla loro odissea ». Poi è arrivato il momento di salire a bordo della nave militare che effettua i salvataggi. «Per molto tempo non è successo niente, poi all’improvviso, la tragedia che vedete sullo schermo, la morte. Mi sono sentito un testimone necessario, non un voyeur. Sentivo il dovere di filmare quello che avevo davanti agli occhi, come chi si è trovato per la prima volta davanti ai forni crematori. Dopo l’Olocausto questa è la più grande tragedia europea. In televisione e sui giornali è raccontata per cifre e statistiche. A me interessano gli esseri umani, i loro occhi, i loro volti, l’assurdità di una morte che arriva a sette chilometri dalla terraferma, mentre la politica sta a guardare ».

Alessandra De Luca

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(Foto di Pietro Coccia)