BERLINO: APPLAUDITO “VERGINE GIURATA”, UNICO FILM ITALIANO IN CONCORSO

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La femminilità esplorata nelle sue tante contraddizioni, negata, dimenticata a lungo, riconquistata con gioia. Ieri al Festival di Berlino è arrivato l’unico film italiano in competizione, Vergine giurata, opera prima di Laura Bispuri, interpretato da una doppia e straordinaria Alba Rohrwacher, applauditissimo in sala e assai atteso anche in conferenza stampa. A partire dal romanzo di Elvira Dones, il film, una coproduzione tra Italia, Svizzera, Germania, Albania e Francia, esplora un mondo arcaico, lontano e misterioso, quello delle montagne albanesi, dove l’antico codice medioevale del Kanun regola ancora vita e morte delle persone. In questo mondo vive la giovane Hana che per fuggire a un destino di moglie e serva in una società che non riconosce alle donne alcun diritto (in dote ricevono dal padre persino un proiettile che il futuro marito ha la possibilità di usare contro di loro), fa voto di verginità e diventa un uomo, Mark. Rinuncia dunque alla propria identità in cambio della libertà di decidere della propria vita. Ma qualcosa di ciò che era prima ancora palpita sotto la cenere, e quando dopo dieci anni decide di lasciare la sua terra e venire in Italia, dove ritrova la cugina con la quale è cresciuta, avverte forte il bisogno di riprendersi tutto ciò a cui aveva rinunciato. Mark lascia nuovamente il posto ad Hana, che rinasce, finalmente libera. Nei panni di una “creatura a metà”, che ha perso la propria identità, ma non ne ha trovata una diversa, la Rohrwacher ha compiuto in un lungo e difficile lavoro sulla propria fisicità, imparando a muoversi, a camminare e a guardare come un uomo, ma anche a parlare l’albanese con l’accento delle zone di montagna. «Mi sono chiesta spesso se fosse giusto vestire i panni di una donna albanese che appartiene a una realtà così lontana – ha commentato l’attrice – ma la fiducia riposta in me da Laura mi ha convinto a intraprendere con coraggio e un po’ di incoscienza questo viaggio affascinante e spericolato. Ho lavorato sui movimenti di Mark, sulla lingua, e a un tratto ho sentito di conoscere questo personaggio. Solo quando siamo arrivati tra le montagne dell’Albania però ho percepito davvero il senso di prigionia che ti danno alcuni luoghi. E l’incontro con una vera vergine giurata, misteriosa, abituata a vivere isolata, è stato particolarmente emozionante ». Ruvido e poetico, rigoroso, coraggioso nell’accostarsi a una cultura così remota, il film soffre forse di un eccessivo lavoro di sottrazione (ci sarebbe piaciuto saperne di più, ad esempio, sulle emozioni della protagonista nel momento di passaggio da un’identità all’altra), ma ci introduce con sguardo personale e forte, in un universo poco esplorato dal cinema, avvicinandosi con grande rispetto a personaggi enigmatici. Tra presente e passato, diversi e contrastanti stati d’animo, il racconto frammentato rimanda all’impossibilità di comprendere fino in fondo un mondo al quale non apparteniamo, ma che impariamo a conoscere aggrappandoci agli occhi e al cuore di Hana/Mark. «Anche con i miei precedenti cortometraggi ho sempre amato riflettere sulle gabbie invisibili che imprigionano le donne – dice la regista – e Alba mi ha regalato la grande opportunità di intraprendere questo viaggio fisico ed emotivo nel modo giusto. Ho viaggiato a lungo in Albania, ho incontrato molte vergini giurate, sono entrata nelle case delle persone che ti aprono la porta ma non il cuore. Ma le gabbie imprigionano molte donne nel nostro mondo. La giovane figlia di sua cugina in Italia si allena nel nuoto sincronizzato, uno sport che ho scelto come metafora della condizione di molti percorsi femminili. La fatica di queste atlete resta invisibile sott’acqua, mentre quello che emerge in superficie è un volto truccatissimo e sorridente, che rimanda a un simbolo di perfezione al quale molte donne, che tutti noi consideriamo libere, pensano di dover aderire ».

Alessandra De Luca

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