“Borg vs. McEnroe”: com’è il film con Shia Labeouf sul mitico match di tennis

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Le epiche sfide tra grandi rivali hanno fatto la storia dello sport, e il tennis vanta il leggendario match tra lo svedese Bjorn Borg e l’americano John McEnroe durante l’indimenticabile finale di Wimbledon, nel luglio del 1980. Il duello all’ultimo sangue vinto dal campione scandinavo è al centro del Borg vs. McEnroe, diretto da Janus Metz Pedersen e interpretato da Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf nei panni dei due fuoriclasse. Borg, incontrastato signore del tennis, lottava per la quinta vittoria consecutiva nel prestigioso torneo inglese, McEnroe, astro nascente della racchetta, ambiva a diventare il nuovo numero uno battendo il gigante.

Il film, che ha inaugurato la 13a edizione del Festival di Zurigo, in programma fino all’8 ottobre e che in Italia arriverà il 9 novembre distribuito da Lucky Red, non nasce dalla voglia di riproporre solo quello storico avvenimento sportivo, ma dal desiderio di indagare nella vita di due uomini cercando quello che si nasconde dietro la maschera indossata dall’icona. “Ogni match – recita una frase di Agassi citata all’inizio del film – è una vita in miniatura”. Più che un dramma sportivo dunque Borg vs McEnroe è un thriller psicologico che, guardando anche all’infanzia e all’adolescenza dei due futuri campioni, ci racconta due vite e due destini incrociati su un campo da tennis, il posto migliore per combattere i propri demoni. Il campione svedese lo chiamavano “IceBorg” e lo consideravano una macchina senza emozioni, ma quel ragazzino che si allenava lanciando palle contro la porta del garage era in realtà un vulcano pronto a esplodere rabbia e panico a ogni colpo di racchetta.

I veri Borg e McEnroe

SuperBrat (Superpeste) invece era il nome di McEnroe, fischiato dal pubblico per le sue istrioniche scenate all’arbitro e al pubblico, che lo trasformavano in un vero e proprio attore, quando il tennis cominciava a diventare spettacolo. Lui inseguiva un ideale di perfezione suggerito da un padre assai oppressivo. Bjorg il gentiluomo si allena scrupolosamente, soffre le pressioni degli sponsor, prepara le racchette salendo sulle corde a piedi nudi e osserva un preciso, nevrotico rituale a ogni partita. John il villano ascolta musica rock, gioca a flipper e frequenta party. Entrambi vogliono vincere, ma nel tennis importa anche il modo in cui vinci.

Quell’incontro cambierà molte cose, nel tennis e nella vita dei due protagonisti. “Se perdo nessuno saprà che ho vinto quattro Wimbledon di seguito, ma tutti ricorderanno che ho fallito nel quinto”, teme Borg, cupo, tormentato, violento, fino a quando lo vedremo inginocchiarsi sul terreno, ancora incredulo, e baciare la sua quinta coppa. McEnroe perde la partita ma guadagna finalmente il rispetto del pubblico, diventa un uomo e un vero campione. L’anno dopo batterà Borg sullo stesso campo. Tra i due è l’inizio di una grande amicizia destinata a durare negli anni.

“Sono due personalità agli antipodi – racconta il regista – ma solo tra di loro riuscivano veramente a capirsi. Il nostro obiettivo era proprio quello di raccontare il rapporto di due esseri umani dietro la leggenda. Lavorare su delle icone impone un lavoro quasi da archeologo, devi scavare, cercare ossa e resti, e da quelli partire per costruire la storia, tra realtà e invenzione”.

“All’epoca dell’incontro – dice Gudnason – avevo solo due anni, ma anche se sono cresciuto in Islanda conoscevo bene Borg. Mi faceva molta paura toccare un’icona svedese e poi non avevo mai preso una racchetta in mano. Ci sono voluti sei mesi di duro allenamento e molti trucchi al montaggio per rendermi un campione”. “Da Borg e la sua famiglia abbiamo avuto molto sostegno, suo figlio Leo interpreta Bjorn da bambino”, dice ancora Pedersen. “Sì è emozionato sul set e ora è molto orgoglioso del film. McEnroe invece ne è rimasto fuori e ha criticato il modo in cui l’abbiamo messo in scena. Credo che in un certo senso continui a lottare con il suo personaggio”. E a proposito di Shia LaBeouf aggiunge: “Era l’attore perfetto per interpretare McEnroe, questo ruolo gli ha offerto l’opportunità di fare i conti con stati d’animo forti che appartengono anche alla sua vita”.

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