
La Francia stravince il Festival di Cannes, l’Italia resta ingiustamente a bocca asciutta nonostante Mia madre di Nanni Moretti, La giovinezza di Paolo Sorrentino e Il racconto dei racconti di Matteo Garrone abbiano notevolmente alzato il livello della competizione di questa edizione convincendo a stampa e il pubblico internazionale. L’entusiasmo per la nostra âsquadraâ di registi era palpabile sulla Croisette, bastava dare un’occhiata ai giornali stranieri o fare due chiacchiere con i colleghi inglesi, francesi, spagnoli, americani, cinesi. Ma evidentemente la giuria presieduta dai fratelli Coen non la pensava allo stesso modo.
Che la Francia non potesse rimanere senza premi era chiaro sin dall’inizio, quando ben cinque titoli (decisamente troppi anche secondo i padroni di casa) sono stati annunciati in gara.

Tre su cinque possono festeggiare: a Dheepan di Jaques Audiard (non certo il miglior film del talentuoso regista de Il profeta) sul dramma dei migranti e le ferite dei conflitti va la Palma d’Oro, mentre Vincent Lindon, accolto da una vera e propria ovazione, come un calciatore che segni ai mondiali, è il miglior attore per La loi du marché di Stéphan Brizé ed Emmanuelle Bercot, regista del film di apertura, La tête haute, è la migliore interprete femminile per Mon Roi di Maïwenn, ex aequo però con la Rooney Mara diretta da Todd Haynes in Carol, al fianco dell’ignorata Cate Blachett. Commosso per il primo premio della sua vita, Lindon ha dichiarato: Â«È un atto politico presentare un film come questo o altri film che raccontano della gente di oggi. Dedico il premio che non vengono considerati all’altezza di ciò che meritano, i cittadini che vengono lasciati in disparte ».
Ottima scelta quella di assegnare il Grand Prix alla sorprendente opera prima dell’ungherese László Nemes, Son of Saul, che a un tema di grande impatto – gli ebrei costretti a trasformarsi in complici dei nazisti nei campi di concentramento – unisce una messa in scena coraggiosa e originale. Scontato già da qualche giorno anche il premio a Hou Hsiao Hsien che con The Assassin firma un’opera tanto formalmente impeccabile, sofisticatissima, quando priva di emozioni (seguire la storia è una vera impresa), così come era chiaro sin dal primo giorno che il kafkiano The Lobster del greco Yorgos Lanthimos avrebbe ottenuto qualche riconoscimento, più per l’eccentricità della storia (in un futuro distopico le persone che non trovano un partner vengono trasformate in animali) che per una reale compiutezza artistica del film. Bisognerebbe invece che la giuria spiegasse meglio il premio più insensato del palmares, ovvero quello per la sceneggiatura andato al messicano Michel Franco per Chronic. Un film senza storia, che procede sempre uguale per quasi due ore, il cui repentino finale tradisce una totale mancanza di idee su come concludere e il cui unico pregio sta nell’interpretazione di Tim Roth.
Ma italiani a parte, il film che più manca in questo sghembo palmares è il bellissimo Mountains May Depart di Jia Zhang-Ke, amara riflessione non priva di speranza sulla Cina di oggi e di domani, che noi preferiamo a quello di Audiard e che con gioia avremmo visto sul podio.
Alessandra De Luca
Ecco tutti i premi:
Palma d’Oro: Dheepan di Jacques Audiard
Grand Prix: Saul Fia di Lazlo Nemes
Premio della Giuria: The Lobster di Yorgos Lanthimos
Miglior Regia: Hou Hsiao-Hsien per The Assassin
Miglior interpretazione maschile: Vincent Lindon per La loi du marché
Miglior interpretazione femminile: Rooney Mara per Carol ex aequo Emmanuelle Bercot per Mon Roi
Premio per la sceneggiatura: Michel Franco per Chronic
Caméra d’Or: La Tierra y la sombra
Miglior cortometraggio: Waves ’98 di Ely Dagher
Palma d’Onore ad Agnès Varda
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(foto di Pietro Coccia)