CANNES, ABBIAMO UN PROBLEMA

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Il concorso, gli autori, i grandi temi, le polemiche, gli applausi e i fischi. Alla fine però, per dirla brutalmente à l’américaine, Cannes è anche, e inevitabilmente, una questione di soldi. In un momento storico in cui, piaccia o meno, a incassare sono quasi solo sequel, franchise, cinecomics e reboot, i festival hanno l’obbligo di fare i conti con il mondo, di rimanere in equilibrio tra qualità e quantità, autorialità e divismo, cercando di inseguire un pianeta alieno in cui una notizia non dura più di venti minuti e i potenziali spettatori sono continuamente distratti da hashtag, trend topics e supereroi, spesso preferendo la marca di un abito alla sinossi del film.

UN PASSO INDIETRO 

Ma il problema è più ampio. Facciamo un passo indietro: dei diciannove titoli presentati a Cannes l’anno scorso, alcuni non sono mai usciti in Italia (Chronic, The Assassin e Valley of Love), altri hanno trovato una finestra in sala solo ora (La foresta dei sogni e Al di là delle montagne) e altri ancora addirittura il prossimo giugno (Marguerite et Julien, Segreti di famiglia). Molti dei film che sono riusciti invece a trovare una distribuzione italiana non sono poi riusciti a arrivare nemmeno al milione di euro di incasso in sala (Lobster, Mon roi, ma anche la Palma d’oro Dheepan e l’Oscar Il figlio di Saul) tanto che gli unici reduci da Cannes andati bene al botteghino sono stati tre fuori concorso: Inside Out, Il piccolo principe e Mad Max: Fury Road.

I CASI DEL PASSATO

A questo punto qualcuno dirà che in fondo è sempre stato così, e che i titoli del concorso poi hanno sempre avuto vita difficile in sala, perché non è quello il loro terreno e nemmeno il loro habitat naturale. Falso. Negli ultimi trent’anni dal concorso sono usciti successi di pubblico come Mission, Pulp Fiction, Fargo, Underground, Segreti e bugie, Casa Howard, addirittura Basic Instinct (sì, venne presentato perfino in concorso, film d’apertura del 1992), ma se togliamo i casi particulier di italiani come Sorrentino & Garrone (La grande bellezza, Gomorra e Youth, più di 20 milioni di euro con tre pellicole) per trovare un film in concorso a Cannes che abbia poi avuto un impatto di un certo tipo sul pubblico bisogna tornare addirittura a cinque anni fa con i discreti risultati ottenuti da Drive di Refn e da Tree of Life di Malick e poi dal caso La vita di Adele.

TITOLI O AUTORI?

Analizzando le ultime cinque edizioni di Cannes, molti film sono addirittura spariti quasi immediatamente dopo il passaggio sul red carpet, nonostante nel cast ci fossero divi come Matthew McCounaghey – vedi il bel Mud di Jeff Nichols – e Ryan Reynolds – The Captive di Atom Egoyan, volato direttamente in Dvd – ma anche il notevole e anomalo The Homesman di Tommy Lee Jones, titoli utili al momento, per creare hype mediatico senza però poi lasciare alcun segno, finiti nel dimenticatoio senza troppi complimenti. Eppure, per smentire una volta per tutte la banale equazione film d’essai = flop, la verità è che ormai da anni anche gli autori incassano e a Hollywood lo sanno bene, basti ricordare Iñárritu e il mezzo miliardo di dollari portato a casa con Revenant, Cuarón e i settecento milioni di Gravity, o ancora Nolan, Fincher e David O. Russell, tutti personaggi ancora in grado di piegare le logiche di mercato a loro favore, senza troppi compromessi. E chissà che, tra un blockbuster e l’altro, non sia proprio questa la formula giusta perché Cannes non smetta di essere rilevante.