DI MARCELLO GAROFALO
Tra i blockbuster dell’estate ci sarà sicuramente Jurassic World (2015) di Colin Trevorrow, in uscita nelle nostre sale l’11 giugno. Sono passati ventidue anni e Isla Nublar si popola nuovamente di varie specie di dinosauri per un parco a tema ancora più colossale di quello creato dal magnate John Hammond, e con un’attrazione pericolosissima, ovvero l’Indominus Rex, un tipo di dinosauro ibrido geneticamente modificato, con intelligenza quasi umana e un elevato istintopredatorio. Superfluo precisare che nonostante la sicurezza di cui si vantal’organizzazione, la catastrofe sopraggiungerà puntuale, esaltata dal 3-D e, nelle sale IMAX, anche da uno schermo gigante.
Il livello di verosimiglianza e di perfezione raggiunto dai tecnici (il budget complessivo della pellicola è di oltre 150 milioni di dollari) della Industrial Light & Magic nel ricreare le varie specie di dinosauri (occhio al Mosasaurus, il colosso della laguna) presenti nel film sfiora la perfezione, ma c’era un tempo neanche tanto lontano in cui i dinosauri che popolano gli schermi vivevano di stop motion e di matte paintings. Grazie al talento di artisti quali Ray Harryhausen, per esempio, riuscivano anche a terrorizzare il pubblico dolcemente ingenuo dell’epoca. Titoli quali Un milione di anni fa (Don Chaffey, 1966), Quando i dinosauri si mordevano la coda (Val Guest, 1970), La terra dimenticata dal tempo (Kevin Connor, 1975) offrivano âpuppetsâ e âmodelliniâ di sauri sempre pronti a lottare tra loro o ad aggredire gli umani: in particolare, non mancava mai la partecipazione di qualche pterodattilo che ghermiva la fanciulla di turno per portarla nel suo nido o per creare un momento di pathos. E anche nel nuovo Jurassic World assistiamo a una scena analoga.
Chiudiamo con una battuta dai dialoghi di questo nuovo film:
Owen Grady (Chris Pratt): âAvete deciso di creare un nuovo dinosauro? Non mi sembra una buona ideaâ