CINEMA E LETTERATURA, UNA RELAZIONE PERICOLOSA

0

La relazione tra parola e immagine è questione di attrazione. E quando arriva il colpo di fulmine allora la relazione può diventare davvero pericolosa. L’immagine si ispira alla parola o viceversa in una sfida tra due linguaggi che vogliono entrambi primeggiare. La rassegna dello Spazio Oberdan di Milano ci fa rileggere tre grandi penne sul grande schermo. Charles Bukowski, David Foster Wallace e Edgar Lee Masters si danno appuntamento dall’8 al 20 giugno agli incontri di cinema e letteratura della Fondazione Cineteca Italiana. 

Si comincia mercoledì 8 con Ritorno a Spoon River (2015), il documentario diretto da Nene Grignaffini e Francesco Conversano che adattano in immagini la raccolta di poesie di Edgar Lee Masters. Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un immaginario paesino del Midwest statunitense. A cento anni dalla sua pubblicazione, l’opera del 1915, in Italia osteggiata dal fascismo e tradotta per la prima volta da Fernanda Pivano nel 1943, ritorna al cinema. Alcuni abitanti delle comunità di Petersburg e Lewistown, dell’Illinois, rileggono alcuni epitaffi per far rivivere atmosfere, stati d’animo e sentimenti della provincia americana, fotografata nello spazio e nel tempo nei suoi molteplici microcosmi.

James Ponsoldt, invece, ci fa rivivere con The End of the Tour (2015), quell’intervista lunga cinque giorni tra il giornalista di Rolling Stone David Lipsky e l’acclamato scrittore David Foster Wallace, a seguito della pubblicazione nel 1996 del rivoluzionario romanzo di Wallace, Infinite Jest. Il film del regista statunitense con Jesse Eisenberg e Joan Cusack ripercorre il rapporto tra lo scrittore e il giornalista attraverso i momenti più divertenti dell’intervista che non fu mai pubblicata. Le cassette audio su cui vennero impressi quei cinque giorni finirono nello scantinato di Lipsky e i due non si incontrarono più. Ponsoldt racconta Infinite Jest attraverso le parole dell’intervistatore e dell’intervistato che si confondono con lo sguardo del regista in un ritratto alla ricerca di identità.  

Infine, si conclude il panorama sui grandi scrittori americani con Henry Chinaski. La moglie, la figlia, amici, colleghi, ammiratori come Sean Penn, Bono, Tom Waits, Harry Dean Stanton e immagini d’archivio raccontano il grande Charles Bukowski nel documentario inedito Bukowski: Born into This (2004) diretto da John Dullagham. Ma in fondo chi meglio di Bukowski racconta Bukowski? «Quando scrivo, sono io l’eroe delle mie cazzate». Meglio lasciar parlare il mito in persona. 

Chi meglio dello scrittore stesso sa perfettamente come rendere in immagini il senso profondo delle sue parole? Eppure, a volte il rapporto tra scrittori e registi è un appuntamento al buio in cui i due non si vedono mai pur quando si incontrano. Massimo Gramellini ha lasciato che Marco Bellocchio portasse al cinema il suo romanzo autobiografico Fai bei sogni. Lo scrittore non ha contribuito al film se non andando sul set qualche volta per vedere il suo alter ego mettere in scena la sua storia, e poi ritirarsi nel silenzio della sala buia e vedere la sua vita sul grande schermo come un semplice spettatore. 

Se Marco Bellocchio è piuttosto fedele al romanzo del giornalista di La Stampa, Pedro Almodóvar invece rende omaggio al trio di racconti di Alice Munro, Chance, Soon e Silence con più libertàMa è solo quando rinomina la protagonista, la canadese Juliet Henderson, in Julieta e ambienta la storia a Madrid che Pedro Almodóvar si sente davvero autore della sua opera. Così, anche Stefano Mordini si ispira altrettanto liberamente all’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino, ma per un’idea dell’attore e produttore Riccardo Scamarcio. «L’idea è venuta da Riccardo che mi ha chiesto di rileggere il libro di Ferrandino per farne un film, poi io gli ho proposto di spostare l’azione in Belgio perché io non sono di Napoli e mi è sembrato potesse funzionare collocarlo in un non-luogo dove Pericle si é creato un’identità e una famiglia», racconta il regista. E così il personaggio di Pericle, descritto nel romanzo come «grasso e con i capelli bianchi» diventa un ragazzo giovane dai capelli scuri e unti, raccolti in uno strano codino. Pericle è solo l’ultimo esempio di come le parole siano magma in mano ai registi, immagini che dalle parole nascono, alle parole devono dar conto prima di ritrovare una loro nuova vita.