1) UN FILM TITANICO Se per molti il cinema significa uno sguardo “più grande della vita”, lo dobbiamo anche a quei tycoon che seppero praticare la via del kolossal, con produzioni esagerate, turgide, straripanti di eccessi, magari per contrastare il narcotizzante realismo della televisione, infingarda nemica, ma qualche volta senza rinunciare all’intelligenza e ai tocchi di classe. Negli anni ’60 questa tendenza toccò il suo apice, culminando in prodotti di successo planetario, di cui probabilmente Il Dottor Zivago è stato a sua volta – al netto dei suoi difetti – uno dei vertici.
2) IL BEST SELLER DALL’AVVENTUROSO E TRAVAGLIATO PERCORSO Il progetto Zivago nasceva da un best seller letterario dal percorso più travagliato e avventuroso della sua stessa trama. Completato nel 1955, il libro di Boris Leonidoviç Pasternak (1890-1960) stette a lungo in stand by in attesa del permesso di stampa, a causa della diffidenza delle autorità sovietiche, almeno fino a quando non intervenne Giangiacomo Feltrinelli, cui era stato affidato il manoscritto per un’eventuale traduzione. Incalzato dalle autorità, l’autore ne richiese (invano) la restituzione: l’editore milanese rifiutò, anzi e lo pubblicò nel 1957, partenza per un successo planetario cui non erano evidentemente estranee ragioni politiche e ideologiche. Ad esempio, nel 1958, all’Esposizione di Bruxelles furono distribuite sottobanco ai turisti russi in visita al Padiglione del Vaticano copie di una versione in russo destinate alla diffusione clandestina. Quando gli fu attribuito il Nobel della Letteratura nel 1958, la settimana seguente Pasternak fu attaccato e poi espulso dall’Associazione Scrittori Sovietici. Vittima di una battaglia a colpi di propagande tra le due potenze da lui proprio non voluta, Pasternak provò a rifiutare l’onorificenza, scrivendo una sorta di autocritica. Insomma, vista con le lenti dell’oggi: se la vicenda appare eccessiva nel merito dei contenuti (le critiche di Pasternak al sistema comunista erano tanto pacate quanto dall’interno e il libro tutto sommato si limita a un pacifismo individualista e a una elegia dei valori primari della poesia e dell’Arte capaci di elevarsi sopra ogni cosa; come dice Zivago nel libro: «La politica non mi dice niente. Non amo le persone insensibili alla verità», nondimeno è gustosamente significativa del clima dell’epoca.
3) IL CAST: DA PETER O’TOOLE A OMAR SHARIFF Proprio il clima politico contribuì a fare de Il Dottor Zivago un appetitoso boccone per il mondo del cinema, da tradurre al più presto sullo schermo. Fu l’italiano Carlo Ponti ad accaparrarsi i diritti cinematografici che poi rivendette alla MGM, rimanendo il motore ispiratore del progetto e suggerendo en passant il nome della moglie Sophia Loren per la parte di Lara. Ma l’inglese David Lean, il regista incaricato di un”impresa che si annunciava da subito titanica come i suoi precedenti leggendari Il ponte sul fiume Kwai e Lawrence d’Arabia, fece notare con tutto il tatto e rispetto possibile che, per quanto nota, bella e brava, la diva era un tantinello in là con gli anni per poter interpretare una giovinetta come la figlia della modista che fa innamorare il medico e poeta Yuri Zivago. La parte andò così a Julie Christie (dopo che lo sceneggiatore Robert Bolt si oppose alla scelta di Sarah Miles, per tacere di altre illustri possibili e poi scartate come Jane Fonda), mentre per il protagonista fu scelta la rivelazione di Lawrence d’Arabia, dopo che lo stesso interpellato Peter O’Toole – ancora arrabbiato con Lean per i pessimi rapporti sul quel set – declinò, ovvero lo splendido egiziano Omar Sharif (che si adattò a sottoporsi ogni giorno a sciampi schiarenti e docce sbiancanti per “togliersi quel suo sapor medio-orientale” e assomigliare il più possibile a un russo). Il supercast era completato da superaffidabili artisti inglesi: Alec Guinness, Ralph Richardson, Tom Courtenay, Rita Tushingam, più qualche americano poco hollywoodiano, Rod Steiger (all’inizio gli era stato preferito James Mason) e Geraldine Chaplin (al suo debutto da adulta dopo essere stata diretta da bambina dal padre in Luci della ribalta nel 1952 e che superò grazie al suo incantevole provino una certa preferenza iniziale verso Audrey Hepburn).
4) DAVID LEAN Meticoloso, accurato, vero artista della messa in scena e del montaggio, Lean affrontò il lavoro con la massima fiducia della MGM («Mi hanno lasciato fare ciò che volevo. Una libertà fantastica»), consci del suo rispetto nei confronti del pubblico: «Non vado matto per i messaggi. Penso che siano un compito dei filosofi. Penso di essere un entertainer». Peraltro – come si è intuito anche dal rifiuto di O’Toole – non si deve assolutamente pensare a lui come a una personalità facile. Sul set sapeva essere assai duro, durante la lavorazione di Zivago furono clamorose ad esempio le sue acrimoniose litigate con Alec Guinness che portarono alla loro rottura (proprio uno dei suoi attori di riferimento, vedi Oliver Twist e Il ponte sul fiume Kwai!).
5) NUMERI DA CAPOGIRO Qualche dato della megalomanica grandezza dell’impresa. Il costo finale fu intorno ai 15 milioni di dollari (del tempo), gonfiati da un preventivo di circa 5, per un anno e più di riprese. 40 mila metri quadrati di set, 34 carrozze di treno, un migliaio di operai utilizzati per costruire gli esterni di Mosca (compresa linea tramviaria e statua di Alessandro II a cavallo) più tre ambienti interni. Tanto per ribadire: oltre 4 mila narcisi furono importati dall’Olanda e piantati temporaneamente in quel di Soria (Spagna), per simulare un prato della campagna russa in estate.
6) LA RUSIA DISSE NO A ZIVAGO L’URSS si oppose subito al film. Ponti dovette rinunciare alla sua idea di girare in Russia e dopo che fu scartata la Scandinavia (tranne qualche scena in Finlandia), la gran parte delle riprese furono giocoforza effettuate nella Spagna di Franco, tra gli studi di Madrid, la citata Soria e le vicinanze di Granada. Nella patria vera di Zivago l’opera fu liquidata con disprezzo («Un film melenso da un’opera mediocre» dichiarò il ministro della cultura Ekaterina Furtseva) e fu proiettato in sala solo dopo il 1994.
7) ROD STEIGER E L’IMPROVVISAZIONE La trama era complessa e confusa, tutta costruita in flashback. Del resto il libro era assai poco lineare quanto enorme e Lean e Bolt dovettero tagliare, riscrivere e faticare non poco. Tra le cose sparite, un importante dialogo tra Zivago e Antipov (il professore comunista innamorato e marito di Lara) e la presenza di una terza consorte del nostro sballottato e arrendevole poeta tra le tempeste della Storia. Ma per quanto controllata al copione e al dettaglio, ci fu spazio in fase di ripresa anche di momenti di autentica improvvisazione, dovuti per lo più alle iniziative di Rod Steiger che dimostrava così la sua provenienza dall’Actor’s Studio. Infatti, per suscitare reazioni sincere nella sua giovane partner Julie Christie, l’attore (che interpretava il laido attentatore delle virtù di Lara, Viktor Komarovkij) arrivò tanto a schiaffeggiarla inaspettatamente e con vigore, quanto a baciarla con un non pianificato “french kiss” (cioé con la lingua in bocca). 8) UN INCASSO STELLARE Il film ripagò gli sforzi non tanto sul piano dei riconoscimenti critici (anzi, da più parte si levarono rispettosamente notazioni su una eccessiva melodrammaticità, sulla elusività dei personaggi e la poco chiarezza di molti snodi narrativi), quanto degli incassi e dei riconoscimenti. Distribuito internazionalmente lungo il 1966 (in Italia addirittura quasi un anno dopo dall’anteprima USA, il 10 dicembre 1966), sino al 2010 il film occupava la casella dell’8° incasso di tutti i tempi; per la MGM (che vi aveva investito più di un milione di dollari solo per il lancio pubblicitario) fu il più grande successo dopo Via col vento. In Italia ancora occupa ancora il 4° posto al box office generale. La colonna sonora di Maurice Jarre (ricordate il celeberrimo Tema di Lara, conosciuto anche da noi come Dove non so?) vendette oltre 600 mila copie solo durante il suo primo giro nelle sale.
9) GLI OSCAR Se i Golden Globe lo premiarono (Miglior film drammatico, Miglior regia, premio a Sharif, Miglior sceneggiatura, Miglior colonna sonora), un po’ più tiepidi furono gli Oscar, andati quasi tutti solo alle categorie tecniche: Sceneggiatura non originale, Fotografia, Scenografia, Costumi, Colonna sonora. Attualmente l’American Film Institute lo ha collocato al 39° posto dei migliori 100 film statunitensi di tutti i tempi. Comunque l’unico veramente “sfortunato” fu proprio il regista David Lean, che forte della piena autonomia e libertà, si gettò a capofitto in un’altra impresa kolossal, La figlia di Ryan (1970), un fiasco così terrificante ed epocale (ma oggi forse andrebbe rivisto) da tenerlo distante, amareggiato, dal cinema per 15 anni, sino a quel Passaggio in India del 1985, in cui tra l’altro ritrovò un riappacificato Alec Guinness, la sua impeccabile opera di commiato.
10) L’OMAGGIO A ZIVAGO DI NANNI MORETTI In ogni caso Il Dottor Zivago si è trasformato in un’icona, un simbolo della sua epoca. Nanni Moretti lo omaggia in una scena rimasta cult in Palombella rossa, quando alla visione in un bar della scena del mancato incontro tra i due protagonisti (lui sul tram) si dispera: «È lei! Voltatii! Bussa! Fatelo scendere! Corri! Nooooooooooooooooo!». Da ricordare infine che furono poi realizzate anche due miniserie, una nel 2002 con Keira Knightley e Sam Neill, l’altra, finalmente russa, nel 2006.