Netflix, il gigante americano del Subscription Video On Demand (ovvero un abbonamento mensile flat per un’offerta di contenuti “all you can eat”), è arrivato in Italia: come cambierà gli equilibri della nostra televisione? Lo abbiamo chiesto a Stefano Zuliani, autore del libro Netflix in Italia e il Big Bang di cinema e tv (ed. Il Sole 24 Ore)
Zuliani, a che punto è la rivoluzione del panorama televisivo in Italia?
In Italia alla parola tv è stata tradizionalmente associata quasi soltanto la declinazione âtv generalistaâ. Colpisce che anche la pay tv Sky, negli ultimi tempi, rivolga una parte significativa dei suoi investimenti a una programmazione pure di tipo generalista (ad esempio, X-Factor, MasterChef, Italia’s Got Talent). Insomma, lo spettatore italiano, che in effetti ha un’età media molto alta (55 anni), viene ancora interpretato come una figura passiva, rilassata in poltrona, pantofole ai piedi e telecomando in mano, non in condizione di esprimere specifiche preferenze. Si tratta di una rappresentazione ancora poco scalfita dalla diffusione straordinariamente rapida di smartphone e tablet, già nelle tasche di 30 milioni di italiani, che porta una forte spinta all’interattività (negli USA il consumo video su mobile per persona supera un’ora al giorno).
Cosa succede invece nel resto dell’Europa?
Nei paesi europei comparabili al nostro (come sono Germania, Francia e UK), grazie allo sviluppo delle tv via cavo e all’ampia diffusione di internet a larga banda, già da molti anni gli spettatori hanno modo di esprimere gusti e opzioni specifiche, ben assecondati dai player attivi sul mercato. Questi infatti confezionano offerte mirate anche a sottoinsiemi e nicchie di mercato, superando la logica della âvendita di eyeballsâ (ovvero vendita dell’attenzione degli spettatori) tipica della tv generalista e dei mercati, come il nostro, ancora prevalentemente basati sugli introiti pubblicitari.
E in America?
Dall’altra parte dell’oceano, negli USA, gli utilizzatori della tv on demand in streaming hanno ormai superato il 50% della popolazione. Inoltre, soltanto il 45% dei programmi televisivi vengono guardati in diretta all’ora in cui sono collocati nei palinsesti (il resto del tempo di ascolto viene speso su servizi on-demand in streaming o su programmi registrati). E il tasso di ascolto in diretta diminuisce con
l’abbassarsi dell’età dello spettatore. Peraltro, secondo un report di Forrester Research, il 38% dei giovani tra i 18 e i 32 anni non guarda affatto la tv tradizionale. Infine, nell’on-demand americano cominciano a essere proposti anche eventi/programmi in diretta, finora grandi assenti sulle piattaforme online; li stanno già offrendo Sony sulla Playstation e Dish Network; ai due dovrebbe presto
aggiungersi Apple.
In Italia sembra persistere il duopolio dei due grandi gruppi di tv generalista pubblica e privata, RAI-Mediaset…
Da noi la situazione è molto meno dinamica: RAI e Mediaset giocano ancora un ruolo fondamentale dalla produzione, alla distribuzione fino all’esercizio delle sale. Tuttavia da alcuni anni, anche per effetto della crisi economica, i due attori sembrano non più in condizione di sostenere un sistema in difficoltà. Ad esempio, Mediaset si è via via disimpegnata dalla produzione cinematografica, dovendo fronteggiare le difficoltà del proprio core business e la concorrenza della pay-tv; anche la RAI ha ridimensionato il volume degli investimenti e il loro valore unitario.
Come entra Netflix in questo scenario?
La forza d’urto di cui potrà essere capace Netflix (in Francia ha raggiunto 100.000 clienti in un solo mese e a metà 2015 è arrivata a circa 200.000) non potrà che accelerare lo stabilirsi di nuovi equilibri dell’intero settore. Il libro riflette sui temi precedenti insieme ad alcuni importanti protagonisti dei diversi segmenti industriali interessati: dalla produzione cinematografica alla distribuzione ed esercizio, fino agli stessi artisti.
E quali saranno gli effetti diretti sul consumo di cinema?
Secondo uno studio di ITMedia Consulting, nel 2014 gli user del VOD in Italia sono stati appena 700.000 e hanno generato ricavi per soli 37 milioni di euro, di cui 20,8 milioni (il 56%) per lo SVOD e 16,2 milioni (il 44%) per il TVOD (a livello europeo il mercato VOD nel suo complesso vale 2,1 miliardi con una crescita annua prevista del 20% anno fino al 2018, concentrata soprattutto sull’offerta ad abbonamento SVOD nel confronto con i principali paesi UE: in UK il VOD vale 686 milioni di euro , in Francia 249 milioni). L’incidenza del VOD sul totale mercato audiovisivo in digitale, pari a 640 milioni, è ancora solo del 7%. Alcune ricerche indicano che soltanto il 50% degli italiani con più di 15 anni (ovvero 29 milioni di individui) è consapevole dell’esistenza di offerte del tipo Video On Demand e appena il 5% (2,7 milioni) le ha effettivamente già provate.