“Elle”: la recensione

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Id. Francia/Germania/Belgio, 2016 Regia Paul Verhoeven Interpreti Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira Distribuzione Lucky Red Durata 2h e 10’

In sala dal 23 marzo 2017

IL FATTO – Aver subito uno stupro violento in casa sua non ha apparentemente scioccato la matura Michèle Leblanc. Produttrice di videogames piuttosto efferati, divorziata, madre di un “Peter Pan” che non stima, con una madre rifatta dal botox e con amante sfruttatore al seguito, in realtà la donna sopravvive a una terrificante storia familiare che sconvolse la Francia. Il padre è infatti il mostro Georges Leblanc, pluriassassino e condannato all’ergastolo. Comunque tra amori stonati – compresi quelli per il cattolicissimo vicino di casa – e la battuta tagliente sempre a fior di labbra, la manager si batterà a suo modo per difendere la sua personalità e trovare le sue vendette.

L’OPINIONE – Paul Verhoeven è un autore che non è mai banale. Ogni suo film ha una sua originalità e una sua ragion d’essere che lo stacca dal branco della produzione corrente. Gira ogni scena come qualcosa che possa impattare nella sensibilità dello spettatore, uno schizzo acido che colpisca e qualche volta scandalizzi. Qui siamo nei meandri del torbido e dell’erotismo che slitta nella crime story e poi nel mèlo, ma il suo mestiere regge benissimo l’infiammabilità della materia che sceglie e tratta (dai suoi successi olandesi, Fiore di carne, Soldato d’Orange, Il quarto uomo, a quelli internazionali di Robocop, Atto di forza, Basic Instinct, Starship Troopers, che qui in Elle viene perversamente e umoristicamente citato quasi di straforo). Anche perchè non rinuncia mai al suo particolare, ficcante senso dello humour (“mio padre ha ucciso 27 persone, 6 cani, alcuni gatti. Per ragioni sconosciute ha risparmiato un criceto” fa dire alla protagonista).

Soprattutto ha qui una regina dello schermo in grado di immergersi in qualsiasi ruolo estremo, dominandolo: ci riferiamo a Isabelle Huppert (vi ricordate i suoi lavori con Chabrol e Haneke?), quasi inquietante nella sua seduttività “Fire and Ice”, disturbante e ambigua. Infatti, dopo gli apprezzamenti a Cannes (in concorso) e al Torino Film Festival, la Huppert si è vista candidare agli ultimi Oscar e vincere comunque ai Golden Globe, più il Cesar francese di categoria (comunque lì è stato premiato anche il film). La sceneggiatura è firmata da David Birke, tratta da una novella di Philippe Djian, Oh…, edita in Italia da Voland (noi lo ricordiamo però anche per il fiammeggiante Betty Blue, uno dei mèlo di culto degli anni ’80), ma lo stile è tutto verhoeveniano.

Massimo Lastrucci

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