ENRICO VANZINA: «IL MIO MAX MARIANI È UN DETECTIVE DA FILM »

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Nel nuovo romanzo Il mistero del rubino birmano Enrico Vanzina riporta in libreria il detective Max Mariani, il suo “Marlowe a Roma”, perfetto personaggio da film (ispirato all’attore Pierfrancesco Favino). E del cinepanettone dice: «Come prodotto nazionalpopolare e come forma quasi filosofica, è morto ».

Enrico Vanzina
Enrico Vanzina

Avevamo lasciato Max Mariani alla sua prima indagine, Il gigante sfregiato, e un anno dopo lo ritroviamo alle prese con Il mistero del rubino birmano (Newton Compton, € 12). Ma che tipo è questo strano e per molti versi misterioso detective? Ecco come lo descrive il suo creatore, Enrico Vanzina: «Da tempo, dopo aver scritto tanto, cercavo la strada per un romanzo dalle atmosfere hard-boiled americane degli anni Quaranta, il genere letterario che più ho amato nella mia vita. Finalmente, due anni fa mi sono alzato una mattina con l’idea giusta per una storia come quelle, ma ambientata in Italia: Max Mariani è Marlowe a Roma. Arriva da una famiglia agiata, è stato avvocato della Roma bene, ma oggi fa l’investigatore privato. È un po’ misogeno, ma in realtà è romantico. Frequenta le donne a pagamento per non avere problemi, ma lui si innamora di loro e loro si innamorano di lui. Non ha soldi, legge molto, ma non è un intellettuale; è un solitario, non ha paura di niente, sa menare se necessario, veste elegante (anche se ha pochi abiti), si confronta sempre con storie impossibili, assolve le debolezze degli altri perché sa di averne tante, ma soprattutto ha un enorme senso dell’umorismo ».

Agisce in una Roma violentissima.
«Ma reale, attuale. Ho voluto descriverla e raccontarla così, perché questa città troppo spesso viene oscurata da quella della commedia rappresentata dai nostri film, da quelli di Verdone e da tanti altri prima. La Roma di Mariani è quella multietnica, con la criminalità delle grandi metropoli, delle gang cinesi, sudamericane, dell’Est. E delle spie, come scopriamo soprattutto in questo secondo libro (dove la storia arriva anche in Bulgaria, a Sofia ndr), in cui sono riuscito a mettere tutto quello che volevo. Il romanzo scorre veloce, pieno di colpi di scena, con riferimenti a Hitchcock: se uno vuole, in due ore e mezza se lo legge tutto. Vorrei avere un amico come Mariani e Roma è molto importante per un personaggio come lui che, inutile dirlo, visto anche il successo di critica ottenuto, vorrei portare avanti ».

Quindi nella terza avventura…
«…scopriremo che c’è un motivo profondo e importante che ha spinto Mariani a fare il detective ».

Ha detto che, delineando questo personaggio, ha pensato all’attore Pierfrancesco Favino.
«Sì, ma in questi due anni si sono fatte avanti altre ipotesi, suggerite dai lettori: Valerio Mastandrea e Ricky Memphis. E poi c’è stata l’autocandidatura, durante una presentazione al Circeo, di Marco Giallini. Tutti grandi interpreti, ci mancherebbe. Anche se l’estrazione borghese del mio Mariani mi fa ancora propendere per Favino ».

Quindi il film…
«…non voglio dirigerlo io per mantenere un certo distacco. Un altro regista può aggiungere qualcosa. Forse potrei scrivere la sceneggiatura ».

Anche se entrambi i romanzi sembrano già dei film.
«Diciamo che sono tagliati cinematograficamente, ma quando scrivo l’intento è di fare letteratura non cinema. È importante, però, che si ricominci col cinema di genere in Italia. Con questi due libri ho cercato di dimostrare che si possono raccontare “storie americane” credibili anche se ambientate in Italia ».

Restiamo al cinema: cinepattone da rottamare o no?
«Direi che è De Laurentiis ad aver decretato la fine di questo genere di film, che io e mio fratello abbiamo inventato. Prima con la rinuncia a Boldi, poi con quella a De Sica e infine con quella a Neri Parenti. Senza di loro ha aperto una nuova pagina, ma di cinema comico. Il cinepanettone, come prodotto nazionalpopolare e come forma quasi filosofica, è morto ».

Giacomo Airoldi