I LUOGHI DELL’ANIMA DI WALTER VELTRONI: “I TEMPI DA FAVOLA DELLE SERIE TELEVISIVE”

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Mentre il cinema è sempre più concitato e bulimico, nei serial per il piccolo schermo si ritrovano i ritmi lenti e sinfonici del racconto. Come in Fargo, con i magnifici Martin Freeman e Billy Bob Thornton

DI WALTER VELTRONI

true detectiveBernardo Bertolucci, parlando di True Detective, e non solo, ha detto «Sono anni che, costretto in casa, mi sono appassionato alle serie…Mi sono chiesto perché, forse bisogna partire da lontano, quando mio padre mi raccontava le “fole”, le favole. Quello è il primo caso di serialità, poi sono venuti i fumetti: dai miei 8, 9 anni, avevo questa grande passione, non contrastata in famiglia. Quindi sono arrivate, con un grande salto, le serie televisive… Le serie che vedo sono più belle di quasi tutti i film hollywoodiani anzi, le aspetto con ansia, e non aspetto più i film, nemmeno quelli con cast stellari. Trovo nella fiction quello che non vedo più al cinema. I bei film di questo momento per me sono dentro le serie, hanno riconquistato i tempi che il cinema ha fatto a pezzettini, ingoiato e fatto sparire; i tempi della serialità sono quelli del cinema che amavamo ».

FargoBertolucci ha capito come il tempo del racconto, che nel cinema contemporaneo si è fatto concitato e bulimico, ritrovi per magia nella serialità, da sempre considerata genere minore, la possibilità di distendersi, di farsi sinfonica. In fondo Novecento, quel magnifico capolavoro, non è già esso un prodotto che sfuggiva alla tagliola della fretta? Oggi le serie sono dei prodotti di magnifica raffinatezza. Qui, oggi, vorrei parlare di Fargo. Cominciando col dire che al magnifico film dei fratelli Coen, la serie non fa fare brutta figura. Due attori meravigliosi: uno, Billy Bob Thornton, nella parte del più efferato, bastardo, geniale, simpatico, algido killer della storia del killeraggio universale. E l’altro, Martin Freeman, capace di passare da nerd vessato anche dalle formiche a spietato assassino, capace di strategie raffinate e diaboliche. Il tutto condito di personaggi impensabili: una detective robusta e geniale, un capo della polizia buono e cretino, una moglie asfissiante, una vedova insaziabile con due figli maneschi e tonti, due killer mandati da Fargo cattivi ma iellati, due poliziotti che controllano per anni un sito e poi si distraggono quando il killer efferato e simpatico compie una strage che levati, Keith Carradine che ha smesso di cantare I’m Easy imberbe e con i capelli lisci ed è diventato – prodigio del make up, vero? – un vecchio e stanco gestore di bar, un poliziotto di provincia con figlia a carico che si scopre feroce come il vecchio Clint.

braccialetti rossiPuò bastare? No. Il tutto, direbbero a Masterchef, servito su un letto di ambientazione mirabile e straniante. Ecco un’altra caratteristica delle serie moderne. Mentre il cinema si fa veloce e metropolitano o veloce perché metropolitano o il contrario, le serie prendono il ritmo da fado della provincia. I paesaggi sono grandi, silenziosi e lenti. Così è in Fortitude, Les Revenants, Leftovers, Lilyhammer. In fondo anche i nostri Montalbano o Braccialetti rossi. L’ambiente è metà della serie, perché lo spettatore, nel suo tempo lungo, deve abituarsi ai luoghi, deve riconoscerli, quasi avesse Google Earth in mano. Non importa che ci sia più ghiaccio che anime, più crepuscoli che mattine, più silenzio che musica. Non importa. Perché, in fondo, la nostra vita è una serie. Non un pezzo unico.

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