Detassis, Cotroneo, Vezzoli, Aspesi, Kureishi. Sono gli insospettabili serial addicted che, sul palco del RomaFictionFest, si sono ritrovati a chiacchierare di cosa significhi per loro il piccolo schermo e la serialità televisiva. Pure con qualche confessione inaspettata…
Prendente cinque ”intellettuali professionisti del settore”, tra cui sceneggiatori, registi, artisti, scrittori, giornalisti. Metteteli in un salotto, tutti insieme, poltrona a poltrona, faccia a faccia. Di cosa finiranno per parlare? Politica, certo. Società, probabilmente. Attualità? Se, purtroppo, è drammatica come quella recente sì, inevitabilmente sì. Ma, per non darla vinta a chi ci vorrebbe con la testa chinata, loro inizierebbero a discutere di come far sì che quella brutalità venga invece sfidata, magari proprio con una delle armi più forti, ovvero la cultura.
È quello che hanno fatto, ritrovandosi non in salotto bensì sul palco del RomaFictionFest, Natalia Aspesi, giornalista, critica e scrittrice; Francesco Vezzoli, artista italiano ”esportato” in tutto il mondo e Hanif Kureishi, regista, sceneggiatore e scrittore londinese. Tutti e tre, ”moderati” dal regista Ivan Cotroneo e da Piera Detassis, Direttore di Ciak e Coordinatore Artistico del FictionFest. Dunque, tra un guilty pleasure e confessioni inaspettate, il dibattito sulla serialità, il linguaggio del piccolo schermo e le nostre amate serie televisive è stato aperto dal ”sospettato Uno” Cotroneo, autore di alcune delle serie e mini-serie televisive italiane di maggior successo. «Il piacere della serialità è davvero forte. Molte puntate e molte stagioni, sono spesso una chiave d’interpretazione del reale. Le serie, oggi, sono nettamente migliorate e parlano di tutti noi. Pure Games of Thrones o Downton Abbey », dice Cotroneo. Atteso, e puntuale, il parere di Natalia Aspesi, imbeccata da Piera Detassis quando le chiede quale sia la sua serie cult: «Mi piace quella serie di Soderbergh, che parla della New York dei primi del ‘900: The Knick! Anticipa anche argomenti importanti. Sono ansiosa di sapere come va a finire ».
Dopo lo scambio tra Cotroneo, Aspesi e Detassis, arrivano anche i commenti di Francesco Vezzoli e Hanif Kureishi. In particolare, quest’ultimo, ha voluto sottolineare l’importanza e la potenza del piccolo schermo: «Da una parte abbiamo la fiction, dall’altra abbiamo gli eventi veri. Quindi dovremmo pensare come noi possiamo affrontare la realtà delle cose. In Tv è forte il rapporto con il presente ». Dal canto suo, Vezzoli invece comincia a tirare fuori i primi ”piaceri inconfessabili”: «Seguo tutto in Tv, da Don Matteo a un Medico in famiglia. Pensate, la mia tesi la feci su Dancin’ Days. La serialità ci accompagna, ci si affeziona a quei personaggi ». Cotroneo, poi, chiede a Natalia Aspesi se sia una binge-watching seriale. «Mi vedo una puntata alla volta, così la settimana dopo avrò un altro piacere nel vedere quella successiva », dice la giornalista, «In queste nuove serie c’è tutto, e si può benissimo non vedere tutto insieme. Ultimamente stanno superando alla grande il cinema: penso poi, come diceva Hanif, al rapporto con la realtà. House of Cards è magnetica, e anche Scandal non è male. Ma, devo dire, che sono pure caduta in Beautiful ». E, sulla soap per eccellenza, puntuale il commento di Piera Detassis: «Su Beautiful non posso che essere d’accordo però, Natalia, ammetti che sei anche una assidua fan di un certo canale Tv… » Curiosi di sapere quale? «Vero, sono una fan di TeleCapri, con il suo presentatore, Joe Denti. Tra l’altro è l’unico canale che manda in chiaro i film classici in bianco e nero », afferma la Aspesi.
«La tv è ancora un mezzo lento, sarebbe interessante fare una serie Tv sui fatti più recenti e, nonostante ci siano ottimi sceneggiatori, il dibattito sull’attualità socio-politica, da parte degli spettatori, è ancora povera », interviene Kureshi. Ecco che dalla serialità il discorso si sposta su gli altri linguaggi da piccolo schermo. «Queste Tv piene di politici che vogliono sostituirsi agli show man. Credo siano inadeguati », interviene Vezzoli, «Mentre gli autori delle fiction sono meglio. Preferisco Homeland a un TG. Nelle serie credo ci sia molto più approfondimento ». Una tendenza riscontrata da Cotroneo, tra l’altro in prime time su Rai1 con È arrivata la felicità (ma lui, durante la chiacchierata, non ha assolutamente voluto parlare dei suoi titoli!), anche tra gli studenti del suo ex corso, al DAMS di Roma: «Prima nessuno dei miei studenti voleva scrivere per le serie, poi è iniziata questa golden age è hanno scoperto il potere della narrazione ». C’è chi queste serie le chiama comfort food: Â«È bello creare un mondo trascorrendo con questi personaggi tanto tempo. Per gli spettatori è bello farsi accompagnare dalle loro storie. Quando si è tristi, ti metti e vedi tre, quattro puntate della serie del cuore. Una sorta di comfort food! », scherza Vezzoli. C’è però Kureishi che teme un effetto contrario: «C’è il rischio di troppo isolamento, di perdere la cognizione della realtà delle cose. Si resta in casa a vedere le fiction e poi fuori c’è il mondo reale ». Quindi, la spiegazione a questa sorta di ”realtà confortante” che aiuta ad uscire, anche solo per un’ora, da una realtà tutt’altro che lieve, la da Piera Detassis, lanciando una riflessione che è anche una domanda, alla quale ognuno può dare una risposta diversa. «Per dire, da ragazza io seguivo Bonanza », confida il Direttore, «Era una sorta di distacco dalla realtà, era diventata quasi una seconda famiglia, per me. Quindi mi viene da pensare, forse abbiamo bisogno di più affetto, o meglio, di più certezze, in un mondo così frammentato? ».