IL SEGRETO DEL SUO VOLTO

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Phoenix, Germania, 2014 Regia Christian Petzold Interpreti Nina Hoss, Ronald Zehrfeld, Nina Kunzendorf Sceneggiatura Christian Petzold, Harun Farocki Produzione Florian Koerner von Gustorf, Michael Weber Distribuzione Bim Durata 1h e 38′

In sala dal 

19 febbraio

Nelly Lenz, una cantante sopravvissuta ai campi di concentramento, torna a casa con il volto sfigurato dalle ustioni e ricostruito da un chirurgo plastico. La donna cerca di riprendersi la propria vita e l’identità perduta, la musica, l’amore e il marito, ma scopre che è stato proprio quest’ultima a tradirla denunciandola ai nazisti. L’uomo non la riconosce, ma è colpito da una certa somiglianza e le propone uno scellerato patto: far finta di essere proprio la moglie, che lui crede morta, per intascare la cospicua eredità di lei. Decisa a scoprire la verità sull’uomo che non ha smesso di amare, Nelly è disposta anche a diventare l’impostora di se stessa.

Christian Petzold che ha già diretto Nina Hoss, star del cinema tedesco, sei volte (l’ultima in Barbara sul tema delle due Germanie), affronta questa volta il dramma dei sopravvissuti ai campi di concentramento impegnati a reinserirsi nella vita quotidiana dopo un incubo che li ha segnati per sempre. Come un’araba fenice, Nelly vuole riemergere proprio dalle ceneri della Germani post-bellica. Non esistono molti racconti, romanzi o film che affrontano questo argomento e il regista ha pensato a una frase di Alexander Kluge che lo ha molto ispirato con il suo Un esperimento d’amore: «Ulisse ci ha messo dieci anni per reintegrarsi nella società, perché dopo Troia non poteva tornare subito a casa, come se niente fosse ». E nel 1945 a Berlino una casa non esisteva più. Ma il film, un noir ambientato per lo più in una cantina dove un uomo riplasma il corpo di una donna perché assomigli il più possibile a sua moglie, è ispirato al romanzo Le retour des cendres di Hubert Monteilhet (già portato sullo schermo nel 1965 da J. Lee Thompson con Dimensione della paura interpretato da Maximilian Schell e Ingrid Thulin) e assai suggestionato da La donna che visse due volte di Hitchcock. E come in molti film del maestro del brivido, al pubblico viene richiesta una certa sospensione di credulità, senza la quale la vicenda rischierebbe di rimanerci estranea. I due si muovono sull’asse dei loro reciproci sguardi, attraendosi e respingendosi, come in un’opera di teatro da camera, mettendo in scena la difficoltà di un popolo di guardare in faccia i fantasmi del passato, riflettere sulla propria identità, prendere coscienza dell’orrore, andare avanti, perdonare e farsi perdonare.

Alessandra De Luca