INTERVISTA A DOMENICO DIELE: TRA LA BINOCHE E IL NOIR

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Domenico DieleTra i dieci personaggi più cool del momento che Ciak ha segnalato sul numero di settembre, l’unico nome italiano presente è quello di Domenico Diele. Trent’anni, senese, la sua carriera ha avuto una svolta decisiva con 1992, la potente, discussa serie su Tangentopoli vista la scorsa primavera su Sky, nella quale Domenico è Luca Pastore, un agente di polizia che lavora con Antonio Di Pietro per portare alla luce la verità sul sistema di corruzione e tangenti che infanga la politica italiana. Lanciato da A.C.A.B. di Stefano Sollima, Diele è uno degli attori più eclettici del panorama italiano, in grado di passare indifferentemente dal genere horror (Paura dei Manetti Bros.) a un puro noir come Bolgia totale di Matteo Scifoni, attualmente nei cinema. Dopo l’esperienza di Mia madre di Nanni Moretti, Domenico si rivela alla redazione di Ciak in Mostra, in occasione della presentazione de L’attesa di Piero Messina a Venezia 72.

Domenico, sei a Venezia per la prima volta. Quali sono le tue emozioni?
Il mio primo approccio alla Mostra è stato da ragazzo, quando seguivo da appassionato di cinema e da studente del DAMS la manifestazione e ammiravo questi luoghi in cui si ritrovavano le stelle del cinema. Essere qui da attore è una grande emozione, sia un traguardo che un punto di partenza della mia esperienza professionale.

Come ti sei trovato sul set de L’attesa, il film in Concorso in cui  reciti al fianco di un’attrice come Juliette Binoche? E come è stato lavorare con un regista esordiente come Piero Messina, un altro nome emergente del cinema italiano?
Per quanto riguarda Piero Messina, è vero, questo è il suo primo film, ma è un progetto a cui lavora dal 2006. Per lui è qualcosa di molto personale e questo trasporto emotivo è riuscito a trasmetterlo a tutto il cast. Juliette è rigorosa e attenta al suo lavoro, ma nello stesso tempo è una persona molto cordiale. Il film mi piace tantissimo, il copione lo trovai eccezionale.

Come ti sei approcciato al ruolo di Pastore in 1992 e poi a quello di un piccolo delinquente ai margini in Bolgia totale?
Interpretate Luca Pastore non è stato facile, non è mai facile essere “il commissario che indaga”. Le scene che abbiamo girato erano molto forti e complesse, e per il personaggio ho lavorato molto, cercando di dargli una verosimiglianza reale e umana. Bolgia totale, invece, è stato un gioco, una favola, un fumetto. Sicuramente il lavoro più divertente che abbia mai fatto. Non è detto che divertirsi sul set sia per forza un bene, però è andata così, e con il regista Matteo Scifoni siamo senz’altro soddisfatti del risultato.

Hai preso qualche modello di riferimento attoriale per questa parte?
Lo stesso Scifoni mi ha dato qualche suggestione: in particolare, Michael Caine in Strade violente, uno dei primi film di Michael Mann. Bolgia totale è un po’ un mosaico di tante passioni cinefile: mentre lo giravamo, abbiamo pensato anche alla trilogia di Pusher di Nicolas Winding Refn.

Puoi già anticipare, invece, qualcosa sulla seconda stagione della serie, che si chiamerà 1993?
Porterà avanti lo stile della prima, indagando tra pubblico e privato, e rimarrà sul filone poliziesco. Si tratta di un altro anno chiave per quello che è diventata poi l’Italia: ci fu il processo ENIMONT, il principale corso giudiziario della stagione di Mani Pulite. Fu attraverso quel processo che si arrivò ai capi di partito, a Craxi e alle monetine.

Com’è il tuo rapporto con le altre rivelazioni di 1992, le “ragazze catanesi” Miriam Leone e Tea Falco? E con un’icona del nostro cinema come Stefano Accorsi?
Una delle cose più belle di questa esperienza è proprio il gruppo che siamo riusciti a creare. Di settimana in settimana ci siamo trovati sempre più complici. Ci vediamo spesso, siamo amici che si ritrovano per serate di karaoke. Non sono cose così comuni in questo ambiente. E Stefano, per noi, è il “capo banda”, il nostro punto di riferimento, dentro e fuori dal set.

Quale dei personaggi che hai interpretato senti più vicino?
Sicuramente Adriano di A.C.A.B.. Mi sono buttato in quel lavoro con un trasporto incredibile. Fu un’esperienza speciale, formativa, che mi porterò sempre dietro. Mi ha sorpreso molto, poi, che il film sia cresciuto col tempo, dopo la partenza in sordina per molti è diventato un cult.

Secondo Domenico Diele, come sta il cinema italiano?
Amo Paolo Sorrentino. Feci la tesi al DAMS proprio su di lui, molto prima de Il divo, subito dopo aver visto Le conseguenze dell’amore. Il correlatore mi disse: «Dai, falla su un regista italiano emergente e che pensi possa arrivare lontano ». Attraverso il lavoro di ricerca sulla tesi, ho scoperto poi tutta la scuola napoletana, da Capuano e Incerti a Mario Martone. Mi è servito molto per individuare che cosa di buono può fare il nostro cinema.

Emiliano Dal Toso