JEAN SEBERG, UN’AMERICANA A PARIGI

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Yankee dello Iowa, non fu Jean-Luc Godard a scoprirla, ma un altro Maestro, Otto Preminger, che la volle debuttante e protagonista (a 19 anni!) in Santa Giovanna (1957)  e poi l’anno dopo col memorabile Buongiorno tristezza! (1958), già coi capelli biondissimi tagliati corti, in quella maniera di lì a breve di gran moda che qualcuno definì “a la garçon”. Nello stesso anno, il franco-svizzero critico fiammeggiante dei Cahiers du cinema la volle accanto a un emergente Belmondo per un filmettino veloce veloce, girato in strada, “d’avanguardia”. Fino all’ultimo respiro (1960) sarebbe diventato il manifesto di una generazione, il capolavoro che avrebbe ridefinito il linguaggio cinematografico, la rampa di lancio per quella generazione ribattezzatasi la “nouvelle vague”. Nei panni dell’americana Patricia Franchini, maglietta (noi  ricordiamo quella a righe) e pantaloni, avrebbe giocato con il bandito Belmondo, meglio: Laszlo Kovacs, una vertiginosa partita a due, dinamica e disperata, affamata di vita e verità. Tra le battute che Patricia/Jean Seberg pronuncia: «Non so se sono infelice perché non sono libera o non sono libera perché sono infelice », praticamente un commento/didascalia del proprio futuro. La sua vita avrebbe infatti preso un sentiero confuso, aggrovigliata tra relazioni sentimentali, clamorose prese di posizioni politiche filorivoluzionarie (una a favore del movimento afroamericano delle Black Panthers le fruttò una campagna denigratoria orchestrata dall’F.B.I. che la turbò e debilitò ulteriormente) e una depressione sempre più difficile da gestire. Dopo Lilith-La dea dell’amore (1964) di Rossen, Criminal story (1967), La ballata della città senza nome (1969) e Airport (1970) cominciò il declino. Lavorò anche in Italia con Nelo Risi in Ondata di calore (1971), Bevilacqua in Questa specie d’amore (1972), Squitieri in Camorra (1972), poi in opere sempre meno significative. Nel 1979, l’ultima sua apparizione in Le bleu des origines (1979) di Philippe Garrell. Psichicamente esausta, dopo quattro mariti (il secondo fu il regista e scrittore Romain Gary che la diresse  in Gli uccelli vanno a morire in Perù (1968) e Kill (1971) e da cui ebbe anche un figlio – che poi peraltro lei sostenne di aver avuto dallo studente rivoluzionario Carlos Navarra – e il costante sospetto (chissà se era solo paranoia) di essere spiata dalla Cia, lasciò un biglietto («Perdonatemi! Non posso vivere più a lungo con i miei nervi ») e si imbottì di sonniferi. Il corpo fu ritrovato in una macchina alla periferia di Parigi il 30 agosto 1979 (11 giorni dopo il decesso e molte sono le domande rimaste senza risposta). Il suo corpo riposa ora nel cimitero di Montparnasse, nella città che l’accolse e di cui divenne un simbolo, non solo cinematografico.

Massimo Lastrucci