L’ALBERGO DEGLI AMANTI

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Erotismo mercenario, talvolta giocoso e in stile manga, malinconia e solitudine dilaniante dell’amore clandestino, infine tenerezza e riscatto finale in un soprassalto di libertà e ottimismo. Perché sì, ci si può lasciare alle spalle il disastro e ritornare a casa, al caldo. È tutto questo e molto di più Tokyo Love Hotel – in sala dal 30 giugno – distribuito da Tucker Film, piccolo gioiello di geometria sentimental-sexy e buffona uscito da quella fucina straordinaria che è il Far East Film Festival, declinato nel tempo anche in una piccola, coraggiosa, distribuzione: la Tucker Film. Il regista è Hiroki Ryuichi, nato e cresciuto nel genere Pingu Eika, il softcore anni Settanta e che si è emancipato dalla serie B pur mantenendosi fedele al tema trasgressivo con il riuscito Vibrator del 2003.

Roba per cultori? No, Tokyo Love Hotel è una narrazione sentimentale piena di meravigliose divagazioni sulla vita nascosta di tutti e non c’è un solo briciolo di cinismo in ogni passaggio del complesso labirinto di storie che accadono nell’arco di un giorno e una notte. Siamo a Kanukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, in un albergo dell’amore, l’Atlas: gente che va e gente che viene, tranne che non siamo al Grand Hotel, ma tra stanze che nascondono prostitute giovanissime e tentate dall’amore per il cliente, troupe di film porno, amanti clandestini e ragazze sperdute pronte ad accaparrarsi un letto pagato per una notte. Un lavoro di geometria narrativa sostenuto dal calore umano che anima lo sguardo del regista.