LAURENT CANTET RACCONTA IL SUO “RITORNO ALL’AVANA”

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Laurent Cantet, il regista Palma d’Oro a Cannes nel 2008 per La classe, amara pellicola sulla nuova generazione di francesi che cresce sui banchi di scuola, in Ritorno all’Avana (trailer) ci racconta la storia di un’altra generazione: quella perduta di Cuba, nata con la Rivoluzione e con la stessa fallita. Â«È un tema molto caro a Leonardo Padura », dice Cantet riferendosi al romanziere cubano col quale ha scritto la sceneggiatura, «ma anche per me è una questione importante: faccio parte di una generazione che è arrivata troppo tardi rispetto alla rivoluzione. Quelli in cui ho creduto io non erano i miei sogni, ma quelli di mio padre. Per me è stato un po’ come vivere una rivoluzione per procura, non ne ho mai preso veramente parte, sono rimasto a guardare, nonostante in quegli ideali credessi anch’io. Per le generazioni di oggi è diverso: loro gli ideali non li hanno proprio avuti, neppure per scegliere di non crederci o di non combattere per realizzarli. C’è molto più disincanto e disillusione adesso ».

La pellicola, in uscita il 30 ottobre nelle sale italiane, prende le mosse dal ritorno in patria di Amadeo, un ex-scrittore, quasi sessantenne, che rientra a Cuba dopo un esilio volontario durato ben sedici anni e le cui vere ragioni non sono mai state chiarite dallo stesso Amadeo fino in fondo. In occasione del suo ritorno in patria l’uomo, che ora ha passaporto spagnolo, incontra su una terrazza della capitale i suoi quattro amici di giuventù: Rafa, Tania, Eddy e Aldo. Come un nuovo Ulisse che, tornando a casa, scatena in chi lo attende il viaggio senza fine della memoria – non a caso il titolo originale del film è Ritorno a Itaca – Amadeo trascina sé e i propri compagni nel ricordo del passato, dei sogni, delle speranze, delle delusioni e delle paure che hanno condotto – o ridotto – tutti e cinque così. «Io mi rivedo in Amadeo, Aldo, Rafa, Eddy e Tania. Ciascuno di loro ha degli ideali e dei limiti, sia interni sia esterni, che gli hanno impedito di realizzarsi e di realizzare i sogni in cui credeva da giovane. Mi riconosco particolarmente in Aldo, l’unico nero del gruppo, che sa di essere diverso dagli altri quattro perché per lui, se la rivoluzione non fosse arrivata, le cose sarebbero andate molto diversamente e, sicuramente, molto peggio. Per questo anche se in tutti, lui compreso, la rabbia e la disillusione hanno preso il sopravvento sui sogni, Aldo continua a gridare: “Lasciatemi credere di crederci ancora…” ». Un urlo, questo di Aldo, simile a una preghiera che, quanto meno nelle intenzioni, verrà condivisa dai suoi compagni desiderosi, e forse bisognosi, di tornare a credere, a viaggiare con la fantasia e con la speranza perché, come dice sempre Aldo: “Bisogna sognare per vivere.”

Il ritorno a Itaca – o a L’Avana – diventa per Cantet un ritorno nella terra del passato, quella dei sogni dai quali i personaggi sono fuggiti “per paura”, sostengono loro. Paura del regime, che nel Periodo Speciale aveva soppresso gran parte delle libertà affermate con la Rivoluzione; ma anche una paura più universale, che attanaglia cubani e non solo, cioè quella di andare fino in fondo nelle cose, di combattere per i propri ideali rischiando tutto, perfino la morte. Un sentimento, la paura, che è molto forte nel personaggio di Eddy, talentuoso scrittore che depone la penna per diventare un dirigente corrotto. «Mi riconosco anche in lui, sì. Capisco la sua fragilità, il suo preferire la balla vita a una vita di sacrificio, di povertà, di nulla » Se la storia personale e la Storia del loro Paese hanno inciso in maniera profonda su tutti e cinque i personaggi, su Tania, l’unica donna del gruppo, la Storia è stata ancora più impietosa perché le ha tolto non solo i sogni, ma perfino ciò in cui sognare. Mentre gli uomini trovano comunque un’ancora di salvezza – chi nella scrittura, chi nella pittura, chi nella famiglia, chi nel benessere – a Tania non è rimasto niente «La rivoluzione le ha tolto perfino i figli. Il padre li ha portati con sé all’estero e loro si sono dimenticati di lei: non la vanno a trovare, non le mandano soldi per aiutarla, pur sapendo che guadagna molto poco, e le scrivono solo ogni tanto. È stata derubata dalla Storia e dalla vita e questo la rende particolarmente aggressiva nei confronti degli altri quattro, cui non risparmia nulla. Però, io la capisco e mi riconosco in lei perché quando non hai nulla è più facile guardare agli altri e prendersela con loro che almeno dei sogni ce li hanno ancora »

Il film, dall’evidente impianto teatrale, si svolge tutto su una terrazza che da una parte si affaccia sul mare e dall’altra sui tetti delle case di una delle zone più povere della capitale cubana. «Volevo “stare sulla città” senza darne un’immagine da cartolina. Volevo sottolineare il carattere insulare de L’Avana, l’essere circondata da un mare che all’inizio della pellicola è azzurro, brillante, attraente, come i sogni, ma poi diventa un buco nero, una zona dove vivono le paure e le minacce. Il mare, infatti, per Cuba non è tanto uno sbocco quanto un confine, la zona più controllata del Paese, quella da cui partivano tutti quelli che volevano scappare ».

Il regista che a L’Avana aveva girato l’ultimo episodio del film collettivo 7 giorni a L’Avanaha trascorso sull’isola molto tempo negli ultimi dieci anni e così ha potuto conoscere non solo la storia di Cuba, ma anche le storie dei cubani e con Ritorno a L’Avana ha risposto al loro incalzante bisogno di raccontarsi. «All’inizio questo film doveva essere un corto, poi, però, parlandone con Padura ci siamo accorti che la storia di questa generazione non può essere raccontata in quindici minuti: ci vuole molto più tempo. Lavorando con i cinque attori » tutti – eccetto Pedro Julio Diaz (Aldo) – interpreti cubani di grande fama – tra loro c’è anche Jorge Perugorria (Eddy), protagonista di Fragole e cioccolata «lavorando con loro ho sentito il bisogno che avevano di poter finalmente dire delle cose della loro storia ». Una storia, quella di una generazione perduta, che non riguarda solo Cuba, ma tutto il mondo. Una vicenda universale che Cantet sceglie di raccontare mettendo in scena cinque Ulisse, ciascuno alla ricerca della propria casa: del luogo dove i sogni hanno ancora una possibilità di esistere.

Flaminia Chizzola