LUCA BIGAZZI: “LA MIA PRIMA VOLTA CON VIRZÌ”

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In questi giorni Luca Bigazzi sta viaggiando per gli Stati Uniti, «più precisamente Georgia e Florida». Non è partito per una vacanza, ma per l’inizio della sua “prima volta” con Paolo Virzì: «Stiamo facendo i sopralluoghi del suo nuovo film», conferma il direttore della fotografia. È In viaggio contromano – The Leisure Seeker, tratto dall’omonimo romanzo di Michael Zadoorian, e avrà nel cast Helen Mirren e Donald Sutherland. A ottobre, invece, girerà il nuovo film di Fabio Grassaonia e Antonio Piazza, i registi di Salvo, ancora una volta una storia molto siciliana.

Un periodo denso, quello di Bigazzi, che dura circa da 30 anni: è stato il direttore della fotografia dei film dei migliori cineasti contemporanei, da Silvio Soldini a Mario Martone, da Gianni Amelio a Carlo Mazzacurati, fino a Paolo Sorrentino, anche in “La grande bellezza” da Premio Oscar e l’ultimo Youth – La giovinezza, e Ivan Cotroneo, in Un bacio per i quali ha vinto il Ciak d’Oro 2016 alla Miglior Fotografia.

Bigazzi, partiamo da Virzì: com’è la vostra prima volta insieme?

Ci inseguiamo dalla sua prima pellicola, un po’ di volte non ho potuto lavorare con lui perché ero già impegnato, questa volta finalmente ce l’abbiamo fatta. Trovo meravigliosi i suoi film: coniugano in maniera sublime commozione e leggerezza, riescono a farmi piangere e ridere.  piango e rido. Gireremo a metà luglio.

Lei ha lavorato coi migliori registi italiani…

Sì ma faccio un po’ fatica a parlare di loro perché diventano degli amici. Sono personalità diverse e complesse. Una cosa che accomuna tutti loro è la necessità di essere veloci e di avere collaboratori veloci. Nel momento in cui mi impegno ad essere il più veloce possibile faccio il miglior servizio al film, dati i tempi sempre ristretti per ragioni di budget. E la velocità diventa anche uno stimolo creativo importante.

I suoi due film da Ciak d’Oro, Youth – La giovinezza e Un bacio, sono opere molto diverse…

Un bacio è un film di cui sono estremamente fiero perché coniuga l’indagine della realtà, quello per cui secondo me facciamo il lavoro del cinema, con l’intrattenimento. Youth parla di questioni molto più personali, l’invecchiamento, il rapporto col lavoro, la passione. Spero che in ogni film al quale collaboro il mio contributo sia diverso a seconda della qualità fotografica che il film stesso richiede.

E poi c’è il titolo da Premio Oscar: come ha lavorato per La grande bellezza?

La prima richiesta ovviamente non era il realismo fotografico, è un film di situazioni spinte all’eccesso: non esiste un chirurgo plastico che riceve cento persone col contaposti come alla posta. La fotografia si adegua al racconto.

Come si diventa direttori della fotografia? Qual è stata la sua esperienza?

Ho una formazione anomala, non ho fatto la scuola di cinema né l’operatore di macchina, ma ho avuto la fortuna di essere in classe con Silvio Soldini. Abbiamo iniziato a fare piccoli film insieme, costituendo una società di produzione indipendente. Non è tanto  quello che so dal punto di vista tecnico si potrebbe riassumere in poche ore. Contano più la curiosità, le esperienze, l’istinto e l’attenzione per il mondo.

Ricorda un momento particolarmente difficile sul set?

Cerco di fare ogni inquadratura come se fosse l’ultima della mia vita. In generale ogni volta che penso di aver fatto qualcosa di sbagliato poi ottengo le inquadrature di cui sono più fiero. Per esempio un’inquadratura di Il divo un esterno notte sotto la pioggia con Toni Servillo/Andreotti chiuso nella macchina. Ci siamo accorti che avevamo illuminato tutto meno che l’attore protagonista: abbiamo risolto con led cinesi a batteria da 8 euro.