LUCA WARD, DA RUSSELL CROWE A “LE LEGGI DEL DESIDERIO”: L’INTERVISTA

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Il 26 febbraio uscirà nelle sale italiane Le leggi del desiderio, il nuovo e atteso film di Silvio Muccino che, nei panni di Giovanni Canton, uno spettacolare life coach, cercherà di cambiare la vita a Matilde (Nicole Grimaudo), Ernesto (Maurizio Mattioli) e Luciana (Carla Signoris). Luca Ward, uno dei doppiatori italiani di maggior talento, attore di teatro, cinema e tv, nel film è Paolo, editore di Canton, cinico amante di Matilde, incurante dei suoi sentimenti..

Luca WardWard, lei ha collaborato con molti registi, com’è stato lavorare con Silvio Muccino?
È stata una grande sorpresa, sopratutto perché io sono pro giovani da sempre. Sono un loro fan, lo devo essere avendo tre figli. Quando poi li trovi in gamba, educati e competenti è una gioia. Silvio ha lavorato con un cast di attori con la A maiuscola in questo film. Ha preparazione e passione, due elementi fondamentali.

Condivide il senso di ottimismo che fa da filo rosso ne Le leggi del desiderio?
Io sono un inguaribile romantico, mi piacerebbe pensare che sia così, ma la realtà spesso dà un sonoro ceffone al romanticismo. Silvio, forse per un fatto di età, è l’ultimo romantico, e la sua passione è sicuramente positiva.

Durante la sua carriera ha interpretato più volte la parte del cinico, l’uomo privo di empatia e sentimenti. Com’è vestire i panni del “cattivo”?
Fantastico, perché è quello che vorrei essere nella vita. Io sono buono, altruista e generoso, invece quei personaggi no, sono l’opposto. È meraviglioso interpretare quei ruoli perché posso essere, anche se per breve tempo, quello che nella vita reale non sono e non riesco ad essere.

Lavora anche in teatro dove interpreta personaggi più “leggeri”, ad esempio in My Fair Lady. È in grado di trasformarsi e ricoprire parti sempre diverse..
Io ho avuto una scuola importante e la fortuna di lavorare con molti grandi maestri che mi hanno fatto capire bene che cosa sia il “mestiere”. Mi dicevano che dovevo saper fare tutto perché così in ogni caso “avrei portato a casa un piatto di pasta”. È per questo che mi sento un precario tranquillo.

Luca Ward e Vittoria Belvedere in Tutti insieme appassionatamente
Luca Ward e Vittoria Belvedere in Tutti insieme appassionatamente

Ora è in tournèe con Tutti assieme appassionatamente; il canto è una delle sue tante doti naturali o si è dovuto esercitare?
Io nel canto sono una schiappa, non c’entra nulla con me, ma do l’anima e amo il mio pubblico. Ho provato a prendere lezioni di canto, ma mi annoiavano. Per cantare devi studiare tantissimo e io, fin da quando ero ragazzo, non amo lo studio.

Si cimenta quindi con diversi tipi di pubblico. A teatro l’apprezzamento è immediato, al cinema e in tv arrivano dopo. Come vive il rapporto con spettatori differenti?
Sono fette della stessa torta, il sapore è il medesimo. Il teatro ha una stazione di partenza dalla quale devi arrivare al capolinea, a destinazione. Non ci sono errori, non puoi rifare la scena. A volte devi correggere il tiro in corsa; ad esempio se ti trovi davanti un pubblico più duro cerchi di scolpirlo.
Io faccio cinema indipendente che tendenzialmente il grande pubblico non vede quindi l’apprezzamento è diverso. In tv si parla di numeri e non li amo particolarmente ma sono comunque un segno.

E per quanto riguarda il doppiaggio? Ha dato voce a molti grandi attori del cinema, Russell Crowe, Keanu Reeves, Hugh Grant, Pierce Brosman
Il doppiaggio è un ibrido, per me ha ha funzionato e continua a funzionare. Trovo sciocca la diatriba tutta italiana per la quale il doppiaggio non aiuti ad imparare l’inglese. Il Gladiatore per esempio è un caso molto particolare, è stato doppiato in italiano in moltissime nazioni e sottotitolato nelle altre lingue quindi lo ha sentito praticamente tutto il mondo. Ho messo la mia voce in film che sono diventati dei cult movie, ed è sempre una soddisfazione. Mastroianni diceva che servono tre cose per avere successo: “fortuna, fortuna e fortuna”.

In molti quando sentono la propria voce registrata si infastidiscono o non si riconoscono. Lei che ha fatto della voce il suo punto di forza vive lo stesso conflitto?
No perché secondo me la voce è un miracolo vero. Noi ci esprimiamo attraverso la voce, non ululando o nitrendo ma parlando, riuscendo ad comunicare concetti complessi grazie ad essa. Basti pensare ai discorsi di Martin Luther King o Gandhi. Non coinvolgevano le folle con una foto; la voce, il modo in cui si esprimevano era parte integrante del loro carisma. La cosa può essere positiva ma anche negativa, vedendo al contrario i grandi dittatori. Chi non lavora con la voce a volte non ci pensa, ma basta ragionarci sù due minuti per trovarla un miracolo e forse vedendola in quest’ottica non sarebbe più un problema. Io sono sempre alla ricerca di nuovi modi di parlare e di esprimermi.

E i cartoni? Penso ad Excel Saga, La spada di King Arthur…
I cartoni sono divertentissimi, ti confronti con un pupazzo, non con un attore. Devi dargli un’anima. I vecchi doppiaggi dei cartoni animati sono meravigliosi e mi è sempre piaciuto molto questo settore.

Che futuro vede per il cinema italiano?
Credo nel ricambio generazionale, fondamentale per riportare il cinema italiano ai vecchi splendori. Bisognerebbe unire l’esperienza degli attori più maturi, ai giovani che si affacciano a questo mestiere. Sarebbe un punto di forza. Le sceneggiature inoltre dovrebbero essere di interesse internazionale, come Silvio e il fenomeno del life coach per esempio. Sorrentino secondo me ha dimostrato che le nostre bellezze uniche al mondo vincono su tutto. Penso anche a Montalbano e la luce della Sicilia. Dovremmo raccontare la nostra terra.

Qual’è stato il personaggio più difficile da interpretare e quello da doppiare?
Il più difficile che ho interpretato è Alessandro Forte nel film 7 km da Gerusalemme, personaggio complesso e sfaccettato. Per quanto riguarda il doppiaggio direi Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, era una grossa responsabilità.

E quelli preferiti invece? Quelli che in un modo o nell’altro le sono rimasti nel cuore…
Il mio preferito nel doppiaggio, forse per la storia tragica che lo ha segnato, è Brandon Lee ne Il corvo. Fisicamente mi somigliava anche un po’, e poi trovo straordinaria la battuta “non può piovere per sempre”. Nel cinema direi che mi sento legato al ruolo più difficile, Paolo nel film di Muccino. Non avrei scommesso un centesimo sulla mia capacità di essere brillante in questo film e invece pare abbia funzionato.

Rudy Ciligot