“L’ULTIMO VAMPIRO”: L’INTERVISTA DI PIERA DETASSIS A MARCO BELLOCCHIO

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Logo Ciak In MostraCIAK IN MOSTRA: A CINQUANT’ANNI DALLA PRIMA VOLTA A VENEZIA, MARCO BELLOCCHIO PORTA AL LIDO IN CONCORSO SANGUE DEL MIO SANGUE. TRA PASSATO E PRESENTE

DI PIERA DETASSIS

Marco Bellocchio
Ph. di Piermarco Menini

Mentre aspetto per l’intervista, ascolto Marco Bellocchio, al di là dalla parete, parlare con impeto del Nosferatu di Murnau. Gli chiedo se sia quella l’immagine che ha ispirato sembianze e posture del vampiro Roberto Herlitzka in Sangue del mio sangue, terzo film italiano in concorso. «Ma no », ride. Â«È un caso. Sto preparando un laboratorio della mia scuola di cinema a Bobbio. Però, in fatto di vampiri, sono aristocratico: meglio Nosferatu di Twilight ». Grazie alla sua ritrosia, tutto pare avvenire per caso nell’arte di questo settantacinquenne che dimostra al massimo una sessantina d’anni, magro e scabro come le pietre del torrente Trebbia nelle cui acque limpide si svolge una delle scene più emozionanti di un film affilato come un rasoio. «Tre anni fa, mentre giravo con gli studenti, ho scoperto il carcere abbandonato e ho pensato che volevo ambientarci una storia, quella della monaca seduttrice che, per riscattare l’anima dell’amante ucciso, deve dichiararsi strega e che, dopo le terribili prove da parte dell’Inquisizione – tutte storicamente provate – verrà murata viva. Così ho girato d’impulso un corto ».

Poi, però, qualcosa è cambiato.

Avvertivo la necessità di annodare fili e connessioni con il presente di Bobbio, e ho girato un altro breve film con mio figlio Piergiorgio, protagonista del primo episodio, che torna in quel carcere, apparentemente abbandonato, per accompagnare un investitore russo in cerca di immobili. La Chiesa adesso non è più dominatrice, c’è un altro potere e un uomo che tiene le fila della comunità. Alla fine ho unito i due film, una piccola pazzia.

Tutti riuniti sul set, la famiglia artistica, da Herlitzka ad Alba Rohrwacher – a quella vera – i figli Piergiorgio ed Elena – eppure cinquant’anni fa, in quello stesso luogo, Bobbio, il giovane Bellocchio di Pugni in tasca urlava la sua rivoluzione e Lou Castel uccideva la mamma.

Lo sa che la sala da pranzo dove le sorelle di Sangue del mio sangue accolgono il fratello dell’ucciso è la stessa di Pugni in tasca? Un po’ risistemata, ma mobili e camino sono quelli. È la casa delle nostre estati, lì ci ritroviamo tutti, in famiglia. È vero, da Pugni in tasca c’è una forte separazione, che non è però un rinnegamento.

Perché Herlitzka pratica l’isolazionismo vampiresco in una Bobbio notturna e un po’ spettrale, dove non si usa la Rete, dove i social sono scomparsi o proibiti?

Il personaggio di Herlitzka, per me, è l’ultimo rappresentante del potere democristiano. Volevo ritrovare Bobbio com’era venti, trent’anni fa, prima di Internet: il potere politico a destra, un’isola democristiana dove la Chiesa, il vescovado, avevano un peso enorme, con tanti giovani assunti dalle banche cattoliche.

Al termine c’è una riflessione sulla fine… Ma quello della fine è un dilemma da cui nessuno può prescindere, soprattutto a una certa età. C’è chi procede in modo convulso nel rapporto con la morte, «bisogna girare almeno un film all’anno », e c’è chi sceglie il ritiro. Io mi sforzo di tenere una strada sobria, non ansiosa: semplicemente seguo estro e ispirazione…