Ma i film italiani in sala sono troppi? Una tirata d’orecchie e il commento del direttore

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Crollo degli incassi al cinema nel weekend

L’AD di Rai Cinema Paolo Del Brocco, sempre con Ciak gentile, stavolta ci ha tirato fortemente le orecchie per un tweet che rilanciava l’analisi del Box Office settimanale firmata Franco Montini per il sito e in cui si diceva dell’andamento negativo dei film italiani. Ci ha definiti  “superficiali” (per la prima volta, meno male!). Accolgo l’appunto, ma sospetto che il contrario di “essere superficiale” sia, in questo caso, “indorare la pillola”. Per non demoralizzarmi, riprendo e aggiorno qui un mio post su Facebook scritto in risposta alla polemica sulla distribuzione del (bel) film Falchi. Lo faccio da banale osservatrice, però informata dei fatti, cercando di affrontare il tema da un punto di vista che conosco bene.

Da anni con Ciak cerchiamo di dare attenzione al cinema italiano, con equilibrio assai faticoso, ma anche doveroso e appassionante, e pur sapendo che potremmo più facilmente percorrere altre vie, come fanno altri. Sono in questo momento alle prese con la programmazione del numero di aprile (ho detto “aprile”, stagione già sfinita da noi visto che la chimera dell’allungamento non si è mai realizzata). Ed ecco il risultato: annunciati in uscita al momento 15 (quindici) film italiani, vale a dire una media di tre a settimana. Sono The Startup (D’Alatri), Lasciati andare (Francesco Amato), La tenerezza (Amelio), Il permesso (Claudio Amendola, anticipato al 30 marzo), La parrucchiera (Incerti), Acqua di marzo (Ciro De Caro), Liste Civetta (Nuzzo/Di Biase), La verità vi spiego sull’amore (Max Croci), Fortunata (Sergio Castellitto), Moglie e marito (Simone Godano), Un altro me di Claudio Casazza, Piccoli crimini  coniugali di Alex Infascelli, Ovunque tu sarai di Roberto Cappucci, La terra e il vento di Sebastian Maulucci, La mia famiglia a soqquadro di Max Nardari.

Tutti sicuramente meritori e meravigliosi (alcuni piuttosto ignoti), e per qualcuno già si ipotizza lo spostamento, ma non saranno comunque troppi? E quanti partono già azzoppati? E quanti riproporranno le stesse formule? E quanti non potranno costruire la necessaria comunicazione? Certo non esistono solo i media “lenti” come il mensile Ciak dove lo spazio è comunque tiranno, c’è il sito (e i siti) e poi i quotidiani (?) e i benedetti social e persino Twitter. Infine si conta sul caro, vecchio, passaparola. Ma nella situazione attuale non restano comunque troppi titoli e molti indistinti? L’industria, il lavoro e e il business devono girare, ma non sarebbe auspicabile mirare meglio, fin dall’aspetto artistico/produttivo a quello distributivo e di esercizio? Data la situazione ripensare il sistema a noi pare non solo necessario, ma urgente.

Piera Detassis

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