MY FRENCH FILM FESTIVAL: “UN FRANÇAIS”

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Id. Francia, 2015 Regia Diastème Interpreti Alban Lenoir, Samuel Jouy, Paul Hamy, Olivier Chenille, Jeanne Rosa Sceneggiatura Diastème Produzione Fin Août, Mars Films, France 3 Cinéma Durata 1h e 37′

Ispirato a eventi reali, Un Français racconta vent’anni di vita di un naziskin francese: guardatelo anche voi su www.myfrenchfilmfestival.com/it/ !

 

Prima d’ora, nessuno in Francia aveva affrontato il tema dei movimenti nazionalisti dell’ultra destra che mettono radici nel disagio sociale del proletariato e sottoproletariato urbano. Certo, a raccontarci la banlieu parigina per la prima volta c’era stato nel 1995 il bellissimo L’odio (La haine, 1995) di Mathieu Kassovitz – premio della regia a Cannes nello stesso anno – con il suo bianco e nero carico di violenza, emarginazione e desiderio di vendetta. Lì però i protagonisti erano tre ragazzi emarginati di diversa etnia, un ebreo (Vincent Cassel), un maghrebino e un africano. In Un Français ci troviamo ancora nei sobborghi della capitale, ma il protagonista è il francese Marc, giovane naziskin di origine proletaria, padre alcolizzato, madre sconfitta, interpretato con il giusto physique du rôle da Alban Lenoir. Il film racconta vent’anni della sua vita, a partire dal 1988, quando, testa rasata, jeans, bomber, anfibi, tatuaggi, una xenofobia delirante verso arabi ed ebrei e un odio radicato verso comunisti e gay, con il suo branco d’inseparabili amici e sodali si abbandona a ogni genere di violenza, verbale e fisica, durante scorribande programmate o casuali a caccia dei nemici della Patria.

Un FrançaisDiastème, sceneggiatore e regista, qui alla sua opera seconda dopo Le bruit des gens autour (2008), opta per uno stile estremamente realistico, alla maniera dei fratelli Dardenne – camera in spalla a seguire il soggetto, colonna sonora intradiegetica – e non ci risparmia nulla della drammatica e irrazionale violenza esercitata in nome di un nazionalismo farneticante, fornendo uno spaccato a tratti sconvolgente di certe tendenze in atto nel proprio Paese, e non solo.

Procede però per grandi ellissi narrative, concentrando due decenni in 97 minuti e lasciando così qualche vuoto di troppo in una storia in cui 20/30 minuti in più avrebbero concesso allo spettatore una migliore comprensione dell’evoluzione del personaggio. Perché Marc, dopo il brutale pestaggio di un redskin (gli skinhead “rossi”, di estrema sinistra o anarchici) è preda di un attacco di panico che nasce dalla presa di coscienza della propria insana propensione alla violenza. E l’aiuto fornitogli nell’occasione da un farmacista gli offre forse per la prima volta un’idea di solidarietà umana e civile a lui ignota. Innescando un senso di colpa che lo accompagnerà per tutta la sua travagliata vita e da cui cercherà faticosamente di liberarsi, fino al disincanto finale.

Sergio Lorizio