“Nico, 1988”, ritratto di un mito rock ribelle e fragile: la recensione

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Italia/Belgio, 2017 Regia Susanna Nicchiarelli Interpreti Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek II, Thomas Trabacchi Distribuzione I Wonder Pictures Durata 1h e 33’

 

Al cinema dal 12 ottobre 2017

IL FATTO – Avanti e indietro nel tempo, gli ultimi anni della vita di Christa Paffgen, in arte Nico (1938-1988), che con un grande avvenire dietro alle spalle (musa di Andy Warhol, membro dei leggendari Velvet Underground al loro apice), e un presente da reduce con macerie (un figlio amato/trascurato con tendenze suicide, il fatto che tutti la travisino come un mito sopravvissuto, l’uso e l’abuso di ogni sostanza, la precarietà di una vita intensamente e astiosamente vagabonda). Siamo alla fine anni ’80 e Nico sta portando la sua musica gothic rock per l’Europa, refrattaria a ogni cedimento commerciale, con una band scalcinata e un manager che in fondo la ama e la protegge.

L’OPINIONE – Nessuno pensi che Nico sia una patetica perdente, una loser. Anzi, in questo potente ritratto di fantasia ma plausibile (“ho reinventato la donna che ho immaginato ci fosse dietro la star di una volta” è la dichiarazione programmatica della regista Susanna Nicchiarelli), l’ex rock star esibisce tutte le sue cicatrici e le sue debolezze, continuando a combattere, sino in fondo, per se stessa, per quello che le piace e vuole fare, cioè cantare le sue canzoni e che si fotta tutto il resto.

Sino ad oggi conosciuta per regie molto composte e quasi perbene (l’interessantissimo Cosmonauta, il “loffio” La scoperta dell’alba), la cineasta romana si rivela qui come una profonda ed empatica conoscitrice dello spirito del rock (ammesso che esso esista e sia circoscrivibile). Avanti e indietro lungo una vita inevitabilmente precario-marginale, tra concerti mediocri nella provincia italiana (ma anche uno splendido a Praga alla vigilia della Grande Rivolta contro il regime), il film si illumina dei bagliori delle liriche e delle canzoni di una artista integra e “maledetta” (e non per sua voglia o calcolo), un biopic che esplode come una chitarra strapazzata dall’intensità dei suoi autori, la regista e sceneggiatrice innanzitutto, ma anche dalla attrice protagonista, Trine Dyrholm (musa del cinema scandinavo: Festen, Royal Affair, La Comune), qui capace di una immedesimazione “monstre”, da Oscar.

Oltretutto è lei stessa a reinterpretare i brani di Nico, addirittura peggiorando la propria intonazione normalmente ben impostata, da persona che ha studiato canto: “Nico non si curava di avere il tono giusto, era originale e spontanea. Ma devo dire che cantare male non è facile” (da una dichiarazione raccolta da Arianna Finos, per Repubblica). Tra i migliori lungometraggi italiani della stagione, sicuramente uno di quelli dal più ampio respiro internazionale e che Venezia ha giustamente valorizzato, premiandolo come Miglior Film della sezione Orizzonti.

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