NUOVO CINEMA ASIA: 5 GEMME DAL FAR EAST FILM FESTIVAL

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Conclusasi come meglio non avrebbe potuto, cioé con la proiezione di uno dei migliori Tsui Hark movie degli ultimi anni, The Taking of Tiger Mountain, la 17ma edizione del Far East Film Festival, che ha fatto per 10 giorni (dal 23 aprile al 2 maggio) di Udine una capitale dell’estremo Oriente, traccia i bilanci e noi nel frattempo segnaliamo qui quel che ci resterà maggiormente nel ricordo.

Il FEFF quest’anno si è dimostrato ancor più collegato alla città con diverse iniziative (un centinaio dicono gli organizzatori), ospiti clamorosi (40 tra cui le stars Jackie Chan e Joe Hishashi), un prestigio internazionale che non conosce scalfitture o ombre (60 mila circa gli spettatori complessivi e 1273 accreditati da 16 nazioni diverse!), con un po’ meno sfarzo di superficie e la costante massima attenzione ai contenuti e con in più altre aperture e prospettive (nuovi paesi che entrano a far parte del club, come la Cambogia o gli scambi di omaggi con il festival catalano di Sitges).

Entrando poi nello specifico delle opere, noi di Ciak abbiamo amato soprattutto questi 5 titoli, oltretutto – coincidenza curiosa e non cercata – ideologicamente attinenti, più o meno, al tema portante di quest’anno. Che è poi il combattimento, la sua filosofia, la sua etica.

The Taking of Tiger Mountain
The Taking of Tiger Mountain

THE TAKING OF TIGER MOUNTAIN

Partiamo dal citato The Taking of Tiger Mountain. Da un romanzo popolare, un action-epic ambientato nel 1946, con un gruppo di soldati dell’esercito di liberazione impegnato a distruggere una masnada di banditi (collegata ai nazionalisti) asserragliati in una fortezza praticamente imprendibile e comandati dal crudele Lord Hawk. Il racconto, il suo stile, ci riporta irresistibilmente alla memoria il mondo delle grandi saghe narrative (anche a fumetti) del passato, con un cattivo così grottescamente truccato (nascosto vi recita il grande Tony Leung Ka-fai) e perfido da sembrare un redivivo Ming (per chi ricorda Flash Gordon). 3D sfolgorante, tanti personaggi caratterizzati, montagne innevate, eroismi e combattimenti spettacolari con o senza armi. Un divertimento costruito e retto da una mano semplicemente magistrale, quella di Tsui Hark, che qui ha saputo evitare anche gli eccessi di dispersione di qualche suo lavoro recente.

Helios
Helios

HELIOS

Di Helios diremo che ha un solo “difetto”, quello di essere una prima parte e bisognerà aspettare almeno un’altra stagione per venirne a capo. Per il resto è action kolossal tutta da godere e curata al dettaglio, ambientata tra Hong Kong, Corea e Cina, per la regia di Longman Leung e Sunny Luk (hanno debuttato insieme con il travolgente Cold War). Si parte con il team di Gam Dao-nin che si impadronisce di un’arma nucleare sudcoreana. L’efficientissimo criminale (e occhio alla sua letale guardiaspalle) agisce per conto del misterioso trafficante d’armi Helios e cercherà di vendere lo sperimentale ordigno (di cui non si conoscono del tutto le potenzialità distruttive) a Hong Kong, mentre polizia cinese e coreana inseguono e coordinano gli sforzi, non senza contrasti. Memorabile un movimentatissimo conflitto a fuoco in un autorimessa, tra le sparatorie meglio girate e coreografate di queste ultime stagioni.

Kung Fu Jungle
Kung Fu Jungle

KUNG FU JUNGLE 

Kung Fu Jungle invece è un vero e proprio omaggio al cinema di arti marziali (quindi perfetto per il tema). Un serial killer è impegnato a uccidere in combattimento campioni di varie discipline. Dal carcere, l’ex istruttore Hahou Mo è il primo a intuire lo schema degli omicidi e, messo in libertà provvisoria, aiuterà la polizia. Se sintetizzata così la trama non brilla davvero per invenzioni, in realtà il film di Teddy Chen va visto e amato almeno per una ragione particolare, oltre che per l’effervescenza degli scontri (quello finale in strada sotto la pioggia tra camion e automobili è semplicemente meraviglioso!): come rivelano i titoli di coda, il film è infarcito in ruoli cameo di glorie vecchie e meno vecchie del cinema degli eredi di Bruce Lee. Ed è persino commovente vederli in fila, in questo omaggio sincero e non senile (cioé non come I mercenari).

100 Yen Love
100 Yen Love

100 YEN LOVE

100 Yen Love ci ha rivelato il talento del giapponese Take Masaharu. Ma ci ha fatto conoscere anche la versatilità di un’attrice capace come poche altre di trasformarsi in corso d’opera, Ando Sakura, nei panni della 32enne Ichiko. Apatica, scostante, poco amabile, lascia che la vita le scivoli addosso ingurgitando cibo spazzatura e litigando con i familiari. In fuga astiosa, finirà a lavorare in un supermarket popolare (di quelli “tutto a 100 yen”), almeno finché non scopre una scalcagnata palestra e un pugile già in là con gli anni, stonato di suo e quasi al ritiro. Tra episodi comici o drammatici e piccoli progressivi spostamenti d’animo, maturerà e troverà persino la costanza di coltivare un sogno, quello di potere vincere almeno un volta nella vita. Riferimenti a Toro scatenato, Rocky e a Million Dollar Baby non cancellano una sensibilità autorale speciale, aiutata oltretutto da un gusto originale per l’inquadratura e la scena non scontata. Una bella sorpresa, ribadita anche dall’altro film del regista presente al festival, Unsung hero, storia di uno stuntman specializzato a far da controfigura nelle serie tv per ragazzi (tipo Powers Rangers) e che vorrebbe almeno una volta avere un ruolo suo in un film importante. Anche qui, un sogno da realizzare al servizio di un’etica del combattente al servizio di una commedia-action di cinema nel cinema.

The Wicked
The Wicked

THE WICKED

Naturalmente non mancano i noir e i thriller al FEFF, da sempre ben coltivati dal cinema orientale. Molto interessante, per vari motivi ci è sembrato tra tutti The Wicked, in cui facciamo conoscenza con una impiegata tanto apparentemente dimessa quanto diabolica, una vera personalità maligna che provoca e si vendica delle persone che invidia. L’intelligenza del regista, il sudcoreano Yoo Young-Seon, è stata quella di “simpatizzare” imprevedibilmente con la sadica “strega”, espertissima a utilizzare qualsiasi tipo di lama o punta in modi impropri (in particolare le puntine da disegno e le matite). Lo psycho thriller acquista così anche disturbanti coinvolgimenti e contropiedi giustificazionisti davvero imprevedibili.

Chiudiamo con i premi ufficiali: a proposito di Sud Corea e del suo cinema spesso sfolgorante, quest’anno ha fatto man bassa di segnalazioni. Anzi è stato un vero triplete, visto che il Gelso d’Oro 2015 è andato a Ode to My Father di Jk Youn, mentre alle posizioni d’onore si sono accomodati i connazionali The Royal Taylor di Lee Won-suk e My Brilliant Life di E J-yong.

Massimo Lastrucci